Jake Sully (Sam Worthington) è un marine, costretto su una sedia a rotelle dopo un incidente. L’esercito gli offre una possibilità: prendere il posto del fratello morto in un progetto innovativo. A 44 anni luce dalla Terra c’è un pianeta, chiamato Pandora, luogo di grande interesse per gli studiosi, ma anche fonte di preziosi minerali, necessari agli abitanti della Terra. Purtroppo, l’atmosfera sul pianeta è tossica per gli esseri umani; degli scienziati, tra cui il fratello di Jake, hanno a questo scopo creato degli Avatar, esseri del tutto simili ai nativi che abitano il pianeta, ma guidati dagli umani tramite macchine al sicuro nella base.

L’ostacolo al tentativo di colonizzazione sono però gli indigeni stessi, i Na’vi. Il compito di Jake sarà quello di inserirsi nella comunità, conoscerne usi e costumi e guadagnarne la fiducia, e riferire tutto alla base. Tutto così procede, fino a che Jake non incontra Neytiri (Zoe Saldana), figlia del capo tribù, che gli insegna ad essere un guerriero diverso, e di cui si innamora. Questo porterà inevitabilmente l’umano a vedere la sua missione da tutt’altra prospettiva.

Avatar è un’opera elaborata, con numerose chiavi di lettura e innumerevoli riferimenti, metafore e richiami a film classici della storia del cinema. Non è difficile trovare allusioni a film come Balla coi lupi o Pocahontas, alcuni addirittura citano Star Wars tra le influenze di Cameron, per la fantasiosa quanto complessa creazione del mondo in cui la storia è ambientata.

Ma non è solo la storia del cinema a lasciare tracce, bensì anche quella contemporanea: non è difficile cogliere rimandi a campagne ecologiche nel rispetto delle risorse e delle energie, o alla guerra in Iraq, con l’etichetta di nemico apposta a chiunque possegga ciò che noi vogliamo.

La tecnica su cui James Cameron fa molto affidamento è la motion capture, più che il 3D, tecnica già utilizzata in molti film (tra i più recenti A Christmas Carol, Polar Express, sino a tornare a Il signore degli anelli), che permette la restituzione appieno della recitazione agli attori, che non vedono più emulate le loro espressioni via computer, ma semplicemente le trovano adattate al personaggio digitale.

Allo scopo di esaltare questa tecnica (la vera innovazione secondo il regista), James Cameron decide di non sovraccaricare la pellicola con effetti 3D invasivi, ma li lascia su un basso profilo, che ci permettono di introdurci ed immergerci nello spettacolare mondo di Pandora, senza distoglierci dai minuziosi particolari creati per distinguerla. Gli effetti speciali sono di certo molto curati, ma dal punto di vista qualitativo non sono niente di che, confrontati con un film low-budget come District 9, o come molti videogiochi di ultima generazione.

Inoltre, si potrebbe dire che la trama è un pò banale e scontata. Si sa fin dall’inizio come andrà a finire, cosa succederà, chi vincerà e chi perderà. Non esistono grigi, ma solo bianco o nero: i cattivi sono cattivi, i buoni sono buoni. I dialoghi mancano di spessore, così come i personaggi, stereotipati e senza particolari sfumature che ci permetterebbero di immedesimarcisi. Jake stesso ci sta simpatico, ma non ci conquista del tutto, come invece dovrebbe fare un vero protagonista.

Il vero protagonista, in Avatar, è l’Avatar stesso, così come Pandora: tutto il film è costruito per esaltare la struttura incredibile, c’è da riconoscerlo, di questo mondo e delle creature che lo abitano.

Il film è sicuramente da vedere, ai più risulterà piacevole e scorrevole, non facendo pesare allo spettatore la durata abbastanza lunga, e lasciando qualche buco che tiene col fiato sospeso. E’ romantico, fantascientifico, drammatico, fantastico, avventuroso e tecnologico, ma non si distingue da molti altri film prodotti ultimamente. Quasi tre ore di pura esaltazione della tecnologia digitale, ma poco di più. Può questo bastare per definirlo il film dell’anno? Diciamo così, ci saremmo aspettati qualcosa di più complesso, di più spettacolare, da uno script su cui si è lavorato per 15 anni.

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