Massimo Frezza: dopo un’imperdonabile assenza, di cui mi scuso, prosegue il viaggio di Michele Marziani nella Toscana dei/dai sapori imperdibili. Ecco, quindi, la terza parte del suo “diario” enogastronomico. Enjoy! 😉
Il futuro ha radici nella terra
Qualità e territorio non sono poi necessariamente valori del passato. Anzi, la storia dei “supertuscan”, dei grandi vini toscani che hanno conquistato il mondo (almeno quello degli estimatori del nettare di Bacco) sta a dimostrare che il territorio può essere salvaguardato, tutelato, coccolato anche durante una rivoluzione epocale del vino. Sono state fatte grandi scelte, sono stati impiantati vitigni internazionali, ma tutto è stato fatto in un rispetto quasi maniacale per la terra, per le vigne, per le uve. Qui c’è la chiave di volta, il punto d’incontro tra territorio e innovazione.
Si può guardare lontano valorizzando quello che offrono i territori e la cultura. Oggi, comunque, la Toscana può vantare i più rinomati distretti del vino d’Italia con bottiglie che hanno raggiunto l’apice della fama nell’immaginario degli intenditori: il Brunello di Montalcino, i Chianti (che sono tanti, da quello Classico, prodotto nel cuore delle colline del Chianti, al Chianti Rufina, Montalbano, Montespertoli, a quello dei Colli Fiorentini, dei Colli Aretini, delle Colline Pisane, dei Colli Senesi…), il Vino Nobile di Montepulciano, la Vernaccia di San Gimignano, i “supertuscan” del territorio di Bolgheri. Buon outsider, a metà tra piacere e memoria, il Vin Santo (i più noti sono quelli del Chianti e di Montepulciano).
Mille e un bicchiere
Ma c’è una seconda linea di vini emergenti toscani che stanno sfruttando la fama enologica regionale per intraprendere la conquista di palati e mercati. Il primo che viene in mente è il Morellino di Scansano, rosso a base di uve Sangiovese grosso (come la maggior parte dei grandi toscani, Brunello di Montalcino compreso) destinato, a breve, agli allori del vino toscano. Poi a seguire, con valori e sorti alterne, la miriade di vini Doc della regione, alcuni dei quali semisconosciuti, ma che incuriosiscono l’appassionato proprio perché “Made in Tuscany”: il recente, per denominazione, Ansonica dell’Argentario, come l’antico Bianco di Pitigliano, il fresco Colli di Luni condiviso con la Liguria al confine della provincia Massa-Carrara, il rosso Carmignano che si produce nell’omonimo comune e a Poggio a Caiano, in provincia di Prato.
Questo per citarne alcune perché le Doc – denominazioni d’origine controllata – della Toscana sono tantissime, addirittura quaranta, senza contare le sottozone e le diverse tipologie (rosso, bianco, rosato, eccetera) che porta i vini ad un numero elevatissimo. Questo dimostra sia che la Toscana dei comuni e dei campanili è ben viva, sia una vivacità enologica non comune.
La Toscana dei campanili e delle città
Se poi entriamo nel campo degli oli extravergine d’oliva, l’altro prodotto che accomuna l’intera regione, rischiamo di non raccapezzarci più. Ne usciremmo sicuramente sazi e felici, ma con le idee meno chiare di prima. Il tentativo di tutte le zone della Toscana è infatti quello di valorizzare le caratteristiche peculiari dell’olio di quell’area, sfruttando, comunque, la fama grandissima e più che meritata che l’olio toscano ha nel mondo. Insomma, la Toscana come territorio di campanile, dove ogni città ha storia a se e cerca di valorizzare i propri prodotti e la propria tradizione gastronomica.
D’altra parte, se le campagne, le montagne, i porti sono i luoghi delle materie prime eccellenti, le città sono le fucine dei grandi sapori. É infatti nei tessuti urbani che si sviluppano, si tramandano e si propongono spesso le ricette dei semplici piatti toscani. Questo anche perché, più che in altre regioni italiane, le città fanno da capitale a realtà territoriali ben precise.
Firenze, città d’arte e di bistecca
Frequentando la Toscana si impara a riconoscere da subito le caratteristiche geografiche dei cibi. Oseremmo dire che basta uno sguardo al paesaggio per comprendere cosa si mangia e un’occhiata ai piatti per capire dove si è. È infatti di Firenze (e di Arezzo, per dirla tutta) la succulenta Fiorentina, la bistecca di lombata alta quattro dita con tanto di filetto e controfiletto. Così come dalla splendida città toscana che più di altre ha saputo mantenere intatto il suo immenso patrimonio storico, artistico e architettonico, provengono alcuni dei piatti più famosi della cucina toscana: la trippa alla Fiorentina (la tradizione dei trippai di Firenze è antica), le pappardelle alla lepre (i toscani sono appassionati di caccia e selvaggina), il baccalà alla fiorentina, i crostini toscani a base di fegatini di pollo, la ribollita, la fresca panzanella estiva (facilissima da preparare con del pane raffermo ammollato in acqua e aceto, strizzato, sbriciolato, e mescolato a cipolla fresca tagliata fine, cetriolo, pomodoro, sedano, abbondante basilico, olio, pepe e sale), i fagioli all’uccelletto oppure al fiasco, cioè cotti all’interno di un tipico fiasco, ovviamente senza impagliatura. Da mito della gastronomia è infine il goloso cibreo di rigaglie di pollo.
Dei biscottini di Prato
Firenze condivide molti dei suoi piatti e delle sue materie prime con Prato (su cui gravita parte del territorio del Mugello) e con Arezzo (Casentino e Pratomagno). Mugello, Casentino e Pratomagno, sono, tra l’altro, tra le zone da funghi più interessanti d’Italia con tutto quel che ne consegue in termini di cucina tipica.
A Prato sono famosi, anzi famosissimi, i biscotti di Prato con le mandorle da intingere nel Vin Santo. Meno nota, ma non meno gustosa, è la minestra di pane. Pane condiviso con tutta la regione, insipido, o “sciocco” come si dice in Toscana, ma che ha alcuni dei suoi forni più tradizionali nell’Aretino. In provincia di Arezzo, i sapori e le materie prime sono le stesse dell’area fiorentina, ma, verso sud, la cucina risente degli influssi della vicina Umbria (fagiano tartufato, anitra all’aretina…).
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