È in corso a Roma la mostra dedicata ad uno dei maggiori esponenti della cultura italiana, Fabrizio De André, detto Faber, prematuramente scomparso l’11 gennaio 1999. Nella maestosa cornice dell’Ara Pacis è stato allestito un percorso multimediale molto ricco e articolato, promosso dalla Fondazione Fabrizio De André e realizzato da Studio Azzurro (gruppo di videoarte attivo a livello internazionale), con la cura e la consulenza di esperti del calibro del giornalista Vincenzo Mollica, dello scenografo Pepi Morgia, del fotografo Guido Harari e dell’editore Vittorio Bo.
Inoltre, da venerdì 23 a domenica 25 aprile sarà possibile visitare l’esposizione ed ammirare i colori forti e vivaci dei marmi antichi dell’Ara Pacis grazie ad un nuovo sistema di illuminazione che utilizza una sofisticata tecnologia virtuale.
La mostra, in realtà, è stata originariamente allestita nella prima metà del 2009, a Genova, città natale di Faber (un ruolo fondamentale lo ha infatti svolto la fondazione culturale genovese Palazzo Ducale) ed è stata presentata al pubblico romano nel corso di una affollata conferenza stampa condotta dal Sovrintendente ai beni culturali del Comune di Roma Umberto Broccoli, già giornalista radiofonico con la passione della buona musica.
Ospite d’onore, ovviamente, Dori Ghezzi, musa ispiratrice di De André nella sua seconda vita umana e artistica, sua compagna dal 1974 fino alla fine e madre di Luvi, secondogenita dopo l’erede musicale di Fabrizio, Cristiano. La Ghezzi ha raccontato com’è nata questa mostra, scaturita dal desiderio del Comune di Genova di celebrare degnamente questo suo grandissimo cittadino, nonché dalla convinzione di lei che non dovesse trattarsi di una delle “solite mostre statiche, senza vita”, ma che al contrario fossero rispecchiate le molteplici dimensioni di Fabrizio, anche quella circense, cui uno come lui – che non si prendeva mai sul serio – era molto affezionato.
Ecco quindi che la poetica e la musica di De André emergono con forza dal ricco materiale utilizzato nell’esposizione, da reperti autentici (spartiti, appunti, lettere) a filmati d’archivio, da interviste con critici, amici, testimoni alle registrazioni audio del suo ricchissimo canzoniere, fino ad installazioni originali che richiamano il pantheon dei personaggi cantati da Faber.
È come se lui fosse ancora in tournèe, ha detto Vincenzo Mollica, però con la possibilità di conoscere tutto – o almeno gran parte – quello che normalmente resta fuori da un “semplice” concerto. Forse perché, come ci ha detto un decano del giornalismo italiano, Fabrizio Zampa, gran conoscitore dell’universo di De André, uno come lui non amava concedersi troppo allo sguardo curioso del mondo esterno (e questo spiega perché i video che girano su Faber sono più o meno sempre gli stessi da anni), preferendo affidare i segreti della propria arte agli amici più intimi.
Insomma, per dirla con le parole di Broccoli, De André se n’è andato come una di quelle nuvole di uno dei suoi dischi più belli, lasciando a tutti noi “soltanto una voglia di pioggia”.
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