Può una madre ingombrante, per amore s’intende, cambiare il corso caratteriale e comportamentale dei propri figli? Per amore s’intende…
Due fratelli di padri diversi – il frivolo e donnaiolo 40enne Alessandro Gassman (ammogliato con Sonia Bergamasco in ansia da maternità) e l’iperprotetto Luca Argentero, 30enne sensibile e apparentemente fragile – sono i figli dell’invadente genitrice burattinaia Stefania Sandrelli. Li unisce soltanto una (sbiadita e fin troppo romantica) violoncellista, Valentina Lodovini. Li divide tutto il resto: Milano, Roma, i padri, le professioni, il temperamento.
Come nelle migliori commedie, tra mezze verità, bugie familiari e turbolenze extraconiugali, il gioco dei ruoli ribalta i caratteri e i destini dei due fratelli portando uno scontato scompiglio nelle loro vite e in quelle che li circondano.
Lo scompiglio è ben interpretato dai due attori protagonisti e la parte di Alba-Sandrelli, madre chioccia e invasiva, cui si perdonano quarant’anni di “danni”, sembra fatto su misura. Anche se, in altre occasioni, si è vista più duttile e convincente.
Il film è tratto da un soggetto di Cristina Comencini e il regista Luca Lucini, non sprovveduto di fronte alla commedia corale, come nell’allegra brigata di Oggi Sposi, non delude le aspettative: riprende senza farne mistero la commedia brillante americana degli anni’50, quella di Wilder e Cukor per intenderci, quest’ultimo fra i grandi maestri della “sophisticated comedy”. Seppur non con gli stessi risultati della musa ispiratrice (le commedie di allora erano romanticamente ironiche e prendevano in giro l’alta società americana) Lucini tenta di rendere l’atmosfera familiare frizzante e priva di giudizio morale, in cui ogni personaggio è intrecciato all’altro. La famiglia d’origine dopotutto è solida e non si sgretola, nonostante si allarghi e si restringa a secondo delle circostanze.
Troppa discrezione però non cura le piaghe della nostra società, non raschia il barile, non lo scalfisce neppure. A tratti anzi lo incoraggia: essere privi di giudizio morale non significa necessariamente ovattarci e anestetizzarci, quasi rincuorarci che tutto può succedere ormai, anche sugli schermi.
Ma non è più un problema di regia, semmai di sceneggiatura.
+ There are no comments
Add yours