Si è chiusa domenica 28 la quarta edizione di Irish Film Festa, rassegna della cinematografia irlandese ideata da Susanna Pellis, specialista di cinema irlandese, e ospitata dalla Casa del Cinema di Roma.
Molte le pellicole interessanti. A noi sono piaciuti due cortometraggi: il primo è An Ranger, di P.J. Dillon, girato in costume e ambientato nel Connemara, anno 1854. Dopo la Grande Carestia, e dopo anni al servizio dell’esercito di sua Maestà, un soldato irlandese ritorna a casa e scopre che i suoi famigliari sono tutti morti. L’ira vendicativa del ranger del titolo si abbatte allora sui vicini superstititi, in un’atmosfera cupa come doveva esserlo in quel tragico frangente storico.
In The Wednesdays (Conor Ferguson, 2008), invece, una coppia di simpatici ed arzilli pensionati riesce, in un modo piuttosto anticonvenzionale, a riaccendere l’amore che avevano ormai dimenticato. Ma le forze dell’ordine bussano alla loro porta interrompendo l’idillio…
Tra i lungometraggi, spicca invece Peacefire, di Macdara Vallely, dove la musica di Brandan Dolan e la location della contea di Armagh rendono i giovanissimi protagonisti (John Travers, Gerard Jordan, Gerry Doherty) particolarmente credibili per una delle storie sul conflitto nordirlandese più crude tra quelle raccontate sullo schermo. È il 1994. In un sobborgo urbano dal profondo degrado sociale, tre adolescenti sono dediti al teppismo, al furto di auto e all’alcool. Ma i gruppi paramilitari esercitavano un potere di fatto assoluto, imponendo anche una propria morale: chi violava le regole di convivenza all’interno della propria comunità doveva subire una dura punizione.
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È così che Colin, il più sveglio e il più tormentato dei tre, assiste per caso, insieme ai suoi compari, alla gambizzazione di un loro coetaneo, responsabile delle infrazioni al “codice” dell’IRA. Questo non impedisce loro di continuare nelle imprese criminali, sfidando la sorte con incoscienza giovanile. In realtà, però, il regista vuole mettere in scena il percorso di maturazione dei ragazzi, il modo in cui si assumono responsabilità. Il tutto nel drammatico contesto della violenza settaria, in cui tutte le parti agiscono senza scrupoli, al solo fine di affermare il proprio potere, assoggettando i più deboli. Che, non potendo contare sulla protezione delle autorità (spietate anch’esse), finiscono inevitabilmente per soccombere, interpretando il ruolo di agnello sacrificale di un conflitto atroce, durato fin troppo.
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