Da Montreal al Libano, un lungo viaggio a ritroso per ricostruire un passato ed una storia mai raccontati, alla ricerca di mondi e radici fino a quel momento ignoti, una vera e propria catabasi verso il disvelamento di verità inesprimibili: il testamento spirituale lasciato ai fratelli gemelli Jeanne e Simon Marwan dalla madre Nawal, viene infatti affidato a due lettere consegnate al notaio di famiglia dalla donna in punto di morte.

Così, nella scena di apertura del magnifico film La donna che canta – Incendies (diretto e sceneggiato dal regista canadese Denis Villeneuve, distribuito in Italia da Lucky Red), si entra immediatamente nel sospeso silenzio che precede una rivelazione inattesa, veicolato ad arte dall’asettica ambientazione dello studio notarile, cui segue la reazione differente dei due fratelli: dal lato femminile, il composto, proteso stupore di Jeanne, dall’altro la rabbia e l’apparente disinteresse di Simon per una missione pressoché incomprensibile, ereditata, per giunta, da una madre mai troppo generosa d’affetto.

Nelle sue ultime volontà, Nawal dà infatti indicazione ai figli di ritrovare un padre che da sempre hanno creduto morto ed un fratello che neppure immaginavano di avere, e di consegnare a ciascuno di loro una lettera. In poche righe vergate a mano è celato il segreto di una vita intera, quella di Nawal, e delle vite dei suoi figli.

La forza del film, oltre che nella bellissima trama, avvincente come un thriller, oculata nei dettagli, potente nella rappresentazione di personaggi ed eventi storici, sta nelle immagini scarne ed asciutte, anche all’apice del dramma, che scavano nella ‘carne’ dei protagonisti senza concedere nulla al sentimentalismo, ma guardando il disegno d’insieme, al tempo stesso, con immensa pietas.

Sarà per prima Jeanne (un’intensa e delicata Mélissa Désormeux-Poulin), giovane studiosa di matematica e decisa a ritrovare i nessi logici della sua famiglia, a partire per il Medio Oriente (non si esplicita ma s’intuisce sia il Libano), seguendo le tracce di una madre per la prima volta ri-conosciuta: laggiù, dove passato e presente si alternano nel film con sfumature di seppiato e colore, verranno faticosamente composte le tessere di un mosaico di luoghi, volti e vicende umane legati a Nawal, donna e madre allontanata dalla sua comunità d’origine per un amore impossibile, Nawal, attivista e prigioniera politica, Nawal, la madre eccezionale mai davvero conosciuta.

La pellicola, lungi dal restare indifferente, fa scorrere sullo sfondo delle storie individuali, la Storia recente e gli odi religiosi fra falangisti cristiani e gruppi palestinesi, le violenze spaventose inflitte a civili innocenti (come non evocare il massacro di Sabra e Shatila?), le torture praticate in piena libertà contro i prigionieri politici.

Gli eccezionali interpreti del film, in primis Lubna Azabal (Nawal), Mélissa Désormeux-Poulin e Maxim Gaudette, disegnano personaggi inediti, tesi fra l’amore e l’odio, misteriosamente uniti da legami di sangue, che cercano risposte alle domande collettive: quanto amore, sofferenza, resistenza ed attaccamento alla vita servono per sopravvivere agli orrori della guerra e della prigionia? Quanto possiamo dimenticare e perdonare a noi stessi ed agli altri errori dalle conseguenze impronunciabile?

“Niente è più bello dell’essere insieme”, questa la sentenza di Nawal, ed anche il suo epitaffio, scritto in una lettera. Tratto dall’omonimo dramma teatrale di Wajdi Mouawad (geniale artista libanese costretto a lasciare la sua terra all’età di otto anni a causa della guerra civile degli anni Settanta) La donna che canta – Incendies, presentato alle Giornate degli Autori a Venezia e vincitore del premio del pubblico al Festival di Toronto, è entrato a pieno diritto nella rosa dei film stranieri (per il Canada) candidati all’Oscar.

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  1. 2
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