“Ogni problema pedagogico è d’amore”
Gianfranco Contini, Un anno di letteratura
Un lavoro da “terroni” sfigati, quello dell’insegnante. Assenteisti e fannulloni, tristi e piagnoni, eccoli lì a lamentarsi in ogni occasione degli alunni maleducati e ignoranti, dei genitori distratti e compiacenti, del bullismo e del carovita, dello stipendio da fame o dello stress degli impegni di lavoro, dal momento che tre mesi di ferie, escluse Natale, Pasqua e Carnevale, e per la settimana bianca di rito, non possono di certo bastare.
Questo è più o meno quanto sostengono almeno quattro o cinque ministri della Repubblica, ben amplificati dai media, sempre pronti a sciorinare statistiche e cifre sull’entità dei costi della scuola, dati confezionati ad arte per fornire i soliti alibi, e per depauperare ancor più l’istruzione pubblica.
Ma è già da qualche tempo che a queste panzane non crede più nessuno. Schiacciati dalla crescita incontrollabile dei prezzi, e dall’impotenza politica di imporre un qualsiasi calmiere la gente comune, e lo stesso ceto medio impoverito dalla conversione all’euro, dall’inflazione e dalla stagnazione salariale, ha compreso che ben altra è la situazione che vivono quotidianamente le scuole dei propri figli, le nostre scuole. E giunge proprio a proposito nelle librerie …dalla porta di servizio – Diario-esperienza di un Insegnante di Religione, a scuola di senso, un volumetto agile e prezioso sulle condizioni dell’insegnamento nella società attuale, un’opera che non potrà che stimolare la discussione dentro e fuori dal pianeta scolastico, anche alla luce dei noti avvenimenti che hanno riguardato l’istruzione accademica e superiore durante le ultime settimane del 2010, e che continuano a suscitare polemiche e levate di scudi anche in questo primo periodo del 2011.
Il docente di religione, autore del libro, Berardino Di Bernardino, nato nel 1957 a Sante Marie (AQ), descrive la propria esperienza didattica, difficile, e in parte scalfita dalle immancabili frustrazioni, ma ricca di entusiasmo e soddisfazioni, in una scuola di frontiera, un istituto superiore della periferia romana, tra ragazzi dai 14 ai 20 anni. Il racconto, caratterizzato da una scansione di tipo diaristico, si dipana lungo un intero periodo scolastico, come un ideale contenitore dei tanti avvenimenti maturati nel corso dei diversi anni d’insegnamento.
Ecco, dunque, l’entrata in servizio e la presentazione degli insegnanti (vecchi e nuovi) al Collegio dei docenti; poi il lavoro sul campo, il confronto in aula, l’indolenza dei primi giorni, il rinforzo morale ed educativo, le immancabili divertenti castronerie, la conquista dell’amicizia e della stima degli allievi attraverso la disponibilità ad ascoltarli e ad aiutarli, condividendone e affrontandone le problematiche in modo sincero, disinteressato, senza indugiare troppo nel trasformare il pensiero in azione. Perché la scuola di Di Bernardino è quella di Don Lorenzo Milani e di Maria Montessori, quella interclassista e interculturale della tolleranza e della solidarietà, ispirata ai dettami del “padre dello scoutismo” Robert Baden Powell: è “la scuola del fare che prevale su quella del dire”.
Scorrono i mesi e le pagine del libro, in cui gli aneddoti e i contributi degli studenti (lettere, poesie, sfoghi accorati e disperati…) sono intercalati dalle notazioni dell’educatore, che non fa pesare la propria formazione pedagogica, e i libri “divorati” durante i lunghi anni di studio e di volontariato: Karl Popper e Jacques Delors, Howard Gardner ed Edgar Morin, Gandhi e Martin Luther King, Ignazio Silone e Lucio Lombardo Radice…
E in sintonia con quanto precedentemente accennato, gli incontri, espressamente organizzati per gli allievi, con i Premi Nobel per la Pace (convenuti a Roma per il VII summit mondiale), con don Luigi Ciotti, o con il Sindaco Walter Veltroni, la partecipazione alla marcia lungo il “Sentiero della Libertà” e le visite ai campi di sterminio in Germania, Austria e Polonia, i viaggi di soccorso a Sarajevo e in Albania, il servizio di volontariato alle mense della Caritas e la donazione del sangue presso l’unità mobile dell’AVIS, nel cortile interno dell’istituto, sono iniziative che danno un “senso” all’oscuro lavoro quotidiano tra i banchi di scuola.
Quello stesso senso che Di Bernardino è riuscito a trovare anche in classe, nel rapporto quotidiano con i ragazzi, sempre più afflitti da un precoce atteggiamento nichilista, e con sempre meno punti di riferimento: il cellulare e l’hip hop, i videogame e il culto per gli eroi del calcio. In queste cronache giornaliere narrate con una prosa che – nel bene e nel male – ricalca il parlato, e che poco concede allo stile letterario, i discenti non perdono occasione per beccarsi tra loro e provocare il professore con sfibranti duelli verbali, con l’inosservanza e la sistematica trasgressione alle regole, con un “look” spavaldamente esibito, con i continui riferimenti alla sfera sessuale e con la messa in discussione dell’istituzione scolastica e del metodo didattico.
Ma la fatica dell’insegnante, come si legge in … dalla porta di servizio paga in ogni caso. Le difficoltà psicologiche dovute all’integrazione degli alunni più isolati sopravanzano le urgenze didattiche e culturali, tuttavia non impediscono al docente di coinvolgere, mediante letture e dibattiti, e seppur lentamente, la maggior parte dei ragazzi sui temi della pace e della diversità, sulla necessità del rispetto nei confronti di tutti gli esseri viventi e della natura, sulla forza dell’amore, sulla presenza di Dio. Parallelamente l’autore espone tutta la propria passione educativa impegnandosi allo stremo per accrescere negli allievi l’autostima, la fiducia nel futuro e la speranza di poter realizzare una società migliore. È questa la sua vittoria più importante.
È pur vero che il sottotesto ci rammenta la solitudine del docente del terzo millennio, disarmato di fronte alla rapidità delle mutazioni, impegnato stoicamente nella difesa dei valori tradizionali, e al tempo stesso proiettato alla ricerca di nuove e attraenti soluzioni educative per la rifondazione di una professione che appare talvolta ambiguamente inadeguata a fornire risposte ai bisogni manifestati dai giovani. Tutto questo in un contesto di scuola inefficiente e inconsapevole, che ha in parte svenduto il proprio ruolo e le proprie regole in nome di un aziendalismo assolutamente insensato, se non addirittura pernicioso.
Ma i successi del prof. Di Bernardino invitano i colleghi a non abbandonarsi al pessimismo, dal momento che il laboratorio pedagogico scolastico ha ancora tante strade da percorrere, alcune delle quali indicate alla fine del testo in forma di “proposte” per una scuola della “qualità totale”, da cui non può prescindere la tensione verso obiettivi ambiziosi, la passione per il lavoro del formatore, e specialmente, il coinvolgimento personale nell’educazione dei discenti. Perché, come sosteneva don Luigi Di Liegro, “non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere…”.
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