Giancarlo De Cataldo

Ho incontrato Giancarlo De Cataldo il 17 Novembre 2010 alle ore 18.30, presso la Libreria Feltrinelli di Piazza Colonna, in occasione della presentazione de I Traditori, opera per molti versi “esemplare” della letteratura italiana di quest’inizio millennio. Al termine del dibattito ho strappato allo scrittore la promessa di un’intervista per ONDANOMALA. Dopo qualche giorno De Cataldo ha mantenuto il suo impegno – via e-mail – rispondendo alla dozzina di domande che gli avevo inviato.

1. Con quest’opera così ponderosa non pensa che stavolta sarà ricordato non solo come “lo scrittore di Romanzo Criminale”?

Sinceramente, direi che me lo auguro. E’ odioso essere etichettati, anche se a volte, devo ammetterlo, potrebbe far comodo. Spero che il romanzo sia letto nella sua complessità, e non solo come il “romanzo criminale” del Risorgimento.

2. Si ha spesso l’impressione durante la lettura de I Traditori che la realizzazione dell’Italia sia stata quasi un evento accidentale, e fortuito, visti gli intrighi e i tradimenti che emergono nel testo, e dati i ricorrenti giudizi “al vetriolo” sugli italiani, definiti “popolo di troie” e opportunisti. Può giustificare tale impressione?

No. Anche se innegabilmente il caso giocò la sua parte, alla base del Risorgimento vi fu l’insofferenza diffusa di vasti strati della popolazione per l’antico e obsoleto ordine imposto da reginette e duchessine, un autentico moto popolare, talora, e comunque sempre l’ostilità di una borghesia nascente che guardava all’Europa, al progresso, al futuro. In ogni caso, fu anche una rivolta giovanile contro padri opppressivi e che sapevano di cipria rancida.

3. A proposito di attualità, nel libro viene citato Palazzo Grazioli, lussuosa residenza romana che ospita Lady Violet Cosgrave, uno dei caratteri femminili più spiccati, e altre dame…

Mi creda, è un caso. Quando ho scritto quel capitolo, ormai un po’ di tempo fa, per me Palazzo Grazioli era solo un vetusto e nobile palazzo romano. Se c’è una cosa di cui posso vantarmi è di aver scritto un romanzo che, sì, guarda all’attualità, ma i cui protagonisti ignorano Porta a Porta, il gossip e Ballarò.

4. Quando Lorenzo di Vallelaura spia Mazzini a Londra per conto dei servizi segreti austriaci viene incaricato di diffondere tra i cospiratori la notizia che tra i patrioti ci siano “alcuni elementi inclini alla sodomia”. La denigrazione come strategia politica, quella che recentemente Roberto Saviano ha definito “la macchina del fango”, è un fatto non solo attuale, dunque?

Spie e spioni, governi e conventicole si sono sempre serviti della calunnia. La macchina del fango non è un’invenzione di oggi. Essa mira alla costruzione di una mitologia negativa, non sorretta da fatti reali, che mira a minare la credibilità dell’avversario, dipingendolo come un dèmone.

5. Un testo così ricco e circostanziato presuppone un enorme lavoro di scandaglio di leggi, documenti, epistolari, carteggi… Tra queste fonti quali, secondo lei sono state le più decisive, curiose o interessanti?

A chi volesse intraprendere un viaggio avventuroso nel Risorgimento consiglio di leggere i diari di Giorgio Asproni (ne circola una vecchia edizione Giuffré), le biografie che Dennis Mac Smith ha dedicato a Mazzini e Garibaldi, e il fondamentale “L’invenzione dell’Italia unita” di Roberto Martucci (ed. Sansoni). Sono letture storiche, ma avvincenti come romanzi. Poi, per i più diligenti, l’autobiografia di Mazzini e le sue lettere, e, in alternativa, il romanzo Noi Credevamo di Anna Banti.

6. Il romanzo presenta tutte le qualità per una riduzione per gli schermi, tv o cinema. Ha già ricevuto proposte, visto la ricorrenza del 150ennio dall’unificazione?

Ahimè no. Un film sul Risorgimento è un film in costume. Quindi, molto costoso! E poi, noi italiani abbiamo il pessimo vizio di farci cogliere da ricorrenti amnesie sul nostro passato. Ci piace dimenticare.

7. La Questione Meridionale, il secolare distacco tra governanti e governati, il settarismo leghista sono segnali che non forniscono l’idea di un’Unità consolidata. Non crede che l’Italia possa ritornare ai particolarismi preunitari, o addirittura, a essere divisa in 4-5 staterelli sovrani?

Spero proprio di no! Io, studiando il passato, ho riscoperto l’orgoglio di essere italiano: mica pugliese, o, Dio ne scampi, padano!

8. Il brigantaggio e la feroce repressione piemontese sono sicuramente gli argomenti più obliati dalla storiografia, e scomodi da trattare nel contesto dell’anniversario unitario. Non crede che invece vadano approfonditi?

Certo. Ma non è vero che siano stati dimnticati, anzi. Rivedetevi Iovine, Alianello, i film dei Taviani, il Gattopardo e quel piccolo capolavoro misconosciuto che era Bronte di Florestano Vancini (e pure Quanto è bello lu murire accisi, un film del ’75 di Ennio Lorenzini). E’ una stagione, contrariamente a quanto si possa pensare, abbastanza frequentata da narratori, registi, storici. E’ che noi ce ne siamo dimenticati, e tocca a qualcuno (come me o Mario Martone) rievocarla.

9. I Traditori sono anche un impietoso affresco del presente. Secondo lei riusciremo mai a liberarci del trasformismo e della mafia, oppure pensa con Giovanni Falcone che come tutte le cose prodotte dall’uomo prima o poi ne verremo a capo?

Sai, Cecilia, quella frase a me Falcone la ripetè personalmente, una sera a cena, sorridendo con quel suo sorriso mite e determinato allo stesso tempo. Io la penso come lui: è la nostra grettezza, il nostro opportunismo che ci impedisce di sconfiggere, una volta per tutte, le mafie. Per questo ci vuole sempre pazienza, ironia, e una grande capacità di studio e di sacrificio, per affrontare la vita.

10. Mazzini, Cavour, Re Vittorio e lo stesso Garibaldi ne escono piuttosto ridimensionati. Non pensa di aver esagerato? Se avesse pubblicato questo libro negli anni Cinquanta cosa prevede sarebbe accaduto?

No, non credo di aver esagerato. A me quei grandi uomini continuano a piacere per i loro difetti: io sto con Mazzini, è chiaro, e di Cavour avrei diffidato. Fra loro si detestavano, ma contribuirono, alla fine, fra abbracci, afflati e tradimenti, a fare l’Italia. Io vorrei che si rivendicasse tutto del nostro passato, anche le zone d’ombra. Solo da una perfetta conoscenza potrà nascere un nuovo slancio verso l’unità. Quanto al discorso degli anni Cinquanta… e chi può dirlo? Luciano Bianciardi scrisse una bellissima introduzione ai Mille di Bandi, proprio negli anni Cinquanta. Bianciardi era anarchico, ribelle, focoso, un grande scrittore dimenticato. Amava l’Italia da italiano, in modo ribaldo e fumoso, ma sincero, come tanti di noi veri italiani…

11. Tante le pagine ambientate in Inghilterra e tanti i personaggi ritratti. Tra gli inglesi quale le è risultato più congeniale?

Adoro Lord Chatam, il sadico dall’anima lacerata fra l’abisso e la luce, un carattere che ricorre nei miei libri. E’ il funambolo dei sentimenti cantato da Browning in una sua bellissima poesia, la Bishop’s Apology, quello che sta fra la follìa e la normalità. A chi non piacerebbe salvare un’anima così, redimerla, riscattarla?

12. Tra Lorenzo, Striga, Mario Tozzi, Terra, Salvo quale incarna meglio lo spirito dell’italiano del nostro tempo?

Mi piace considerarmi uno scrittore seguace della polifonia dostojeskiana. Affidare una parte di me a ciascuno dei miei personaggi. Dunque, la risposta è: ognuno di loro, perché ognuno di loro è una parte di me, e io sono parte di ognuno di loro.

Estratto da: ONDANOMALA, il giornale del Liceo “Pilo Albertelli” di Roma Anno IV n. 3 gennaio-febbraio 2011

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