Delicata e profonda lettura della fine della vicenda terrena di Tiziano Terzani, forse il più celebre reporter di viaggio e di guerra che l’Italia abbia avuto in tempi recenti. Il giornalista e scrittore toscano rivive nella magistrale interpretazione di un Bruno Ganz in forma smagliante (e ottimamente sostenuto da Luca Biagini in doppiaggio), che arriva a somigliare all’originale fin dalla folta barba bianca che Terzani si era lasciato crescere dopo aver passato gli ultimi anni in un ashram himalayano.
Si tratta di una produzione italo-tedesca, dovuta ai forti legami di Tiziano Terzani con la Germania – fu inviato in Vietnam per il settimanale “Der Spiegel”: la regia di Jo Baier è solida e affronta senza tentennamenti il dramma umano di un uomo che sa di avere i giorni contati, mettendo in scena la sofferenza del malato e la testardaggine del vecchio, insieme alla guasconeria del toscanaccio e alla lucidità del saggio.
Baier riesce a tenere desta l’attenzione del pubblico con un film di un’ora e mezza tutto girato tra le peraltro splendide colline dell’Orsigna pistoiese, negli stessi luoghi vissuti da Terzani, che li ha amati come ha amato l’Asia. Forse al di sotto delle aspettative la prova di Elio Germano nella parte di Folco, il figlio maschio di Terzani, (coautore della sceneggiatura): un ruolo non semplice, quello dell’erede spirituale di un personaggio di grande spessore, che Germano affronta in modo eccessivamente minimale.
Ma, a parte questa annotazione, è davvero un piccolo grande film, impreziosito dalla musica di Ludovico Einaudi.
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