Un progetto davvero originale, quello del giovane filmaker Louis Nero: portare sugli schermi l’oscura vicenda del monaco russo Grigorij Efimovic detto Rasputin, asceso dalle umili origini contadine al rango di ascoltato – e temuto – consigliere dei Romanov, gli ultimi zar di Russia prima dell’incendio rivoluzionario del 1917.

Sotto l’ala protettiva del mostro sacro Franco Nero, attivo sia nella produzione che nella realizzazione (la voce narrante è sua), il film offre quasi una lettura apocrifa della figura di Rasputin, mostrandone il travagliato percorso spirituale attraverso i tormenti del peccato, simboleggiato dalla gelida e desolata steppa siberiana dalla quale emerge per approdare alla corte zarista, con il suo bagaglio di taumaturgo e guaritore ipnotista.

Coraggiosa anche la cifra stilistica del film, a metà tra cinema di narrazione, arte visiva e docu-drama: il regista (solo omonimo di Franco Nero) si richiama esplicitamente alla pittura, sia costruendo inquadrature che rimandano alle icone russe, sia citando registi come Peter Greenaway.

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Francesco Cabras è perfetto nel ruolo principale, ricorrendo ad espressioni ora torve, ora ispirate, dando vita ad una delle maschere più fedeli all’originale che sia dato vedere nel cinema italiano. Fin quasi alle estreme conseguenze: la scena conclusiva – Rasputin, ferito ma ancora vivo malgrado il tentato avvelenamento e i colpi di pistola, viene gettato nel fiume – è stata girata con grande realismo, immergendo l’attore d’inverno nel mare di Liguria.

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