Ken Loach è tornato, anche se pochi se ne sono accorti – colpa di un lancio italiano destinato a soccombere davanti alla risonanza dell’Habemus Papam morettiano, presentato nello stesso giorno.
La nuova prova del regista britannico non è all’altezza delle sue opere migliori: la sceneggiatura di Paul Laverty, autore di provatissima fiducia, stavolta non ha la brillantezza consueta, forse perché si muove su temi ormai molto frequentati dal cinema d’oggi.
È comunque una storia forte, intensa, alla Loach: l’amicizia cameratesca tra Frankie e Fergus si svolge sullo sfondo della guerra in Iraq.
I due adolescenti delle scampagnate in battello sognando di viaggiare sono diventati contractors, termine asettico per designare i tanti mercenari assoldati da esercito e imprese occidentali per fare il lavoro sporco di assicurare senza limiti di legge né morali la sicurezza di chi opera in Iraq al faraonico business della ricostruzione – ovviamente non certo a beneficio degli iracheni, bensì degli azionisti delle grandi società statunitensi, inglesi, europee beneficiarie di appalti molto remunerativi.
I due giovani sono legati anche da un amore comune, la bella Rachel, che passa dal ruolo della vedova inconsolabile a quella della fidanzata da tenere lontano dai loschi e pericolosi giri dei due uomini. Fergus poi si metterà alla caccia dei traditori, fedele all’amico ma spietato fino a perdere ogni residuo brandello di umanità, smarrendo ogni barlume di speranza.
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