Nena (Isabella Ragonese) è una ragazza Meridionale che nel 1953 deve lasciare la famiglia e il ricco fidanzato e trasferirsi in un paesino di poche anime della Puglia per assumere Il Primo Incarico come maestra elementare. Nena affronterà una realtà dura, ostile, quasi arcaica fatta di persone con cui sembra non condividere nulla.

Nonostante la nostalgia degli affetti e i primi traumatici giorni di lavoro, in una scuola rurale composta di una sola classe, la sua, Nena è decisa a portare a termine il mandato.
Scontrandosi con luoghi selvaggi e inospitali dimostrerà una grande forza di carattere che la porterà a ripensare la propria vita in maniera sorprendentemente diversa. Una favola moderna con la quale si racconta il lungo viaggio che la protagonista compie per arrivare alla propria originaria possibile felicità, che generalmente è fatta di tutt’altro da ciò che siamo spesso indotti a credere.

Il primo incarico è l’esordio come regista ,di Giorgia Cecere, già autrice di soggetto e sceneggiatura per Sangue vivo ed Il miracolo, entrambi diretti da Edoardo Winspeare.

Questo primo film della Cerere è un romanzo di formazione, un bildungsroman in piena regola, considerando che il primo vero romanzo di formazione, Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister di Goethe, vede il protagonista avviarsi all’età adulta proprio attraverso un viaggio fisico e, soprattutto, spirituale.

Il primo incarico è la trasposizione cinematografica di una vicenda realmente vissuta dalla mamma della Cecere in Puglia, negli anni ‘50 e la regista ci ha confermato che gran parte di ciò che vediamo nel film è realmente accaduto.

Forse anche perché, in qualche modo, si tratta di un racconto autobiografico di famiglia, il film ha un sapore particolare. Può essere definito, infatti, un western ambientato in un tempo remoto ed in luoghi che sembrano lontani da tutto, con paesaggi ancora incontaminati da edificazione e motorizzazione selvaggia, molto ben descritti da un’attenta fotografia che cattura magistralmente, con ottime inquadrature, la bellezza della luce naturale.

Il suono del vento e del silenzio molto ben riprodotto aiutano a vivere le scene insieme ad una intensa Isabella Ragonese che offre una bella prova d’attrice riuscendo davvero a raccontare stati d’animo ed emozioni con gli sguardi o anche solo con il respiro.

La Cecere ha reso il tutto più vivo e autentico circondando Isabella Ragonese solo di non attori, che sembrano realmente aver vissuto tutta la vita negli ambienti utilizzati come set, una scelta sicuramente coraggiosa e per molti aspetti rischiosa ma che rende maggiormente merito all’interpretazione della protagonista.

La regista, attraverso l’ambientazione e la scelta delle location, ha ricreato un mondo bello, curioso nel senso di interessante da guardare, un mondo che sebbene ormai perso nel tempo, appare vivo come fosse presente eppure così diverso da tutto ciò che ci circonda oggi nella vita quotidiana che confonde i nostri desideri profondi, i nostri reali bisogni facendoceli percepire solo come una indefinita e continua frustrazione.

Questo film è indubbiamente un film d’autore ben riuscito che merita di essere visto, anche perché restituisce importanza al pensiero, alla riflessione in un momento in cui tutti siamo risucchiati da un vortice, presi a rincorrere non si sa bene cosa solo perché qualcuno poco prima ha iniziato a correre davanti a noi.

Mi domando solo se siamo ancora in tanti a godere della visione di un film che abbia come punti di forza il silenzio, il soffio del vento, il respiro e l’eloquente potenza dello sguardo.

*** Le immagini di questo post sono di Eugenio Boiano ***

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