Non viene concesso neanche un attimo allo spettatore per essere catapultato nel mondo naïf del giornalista belga col ciuffo ribelle e la faccia da bambino: giusto una deliziosa sigla che lascia intendere che dietro a quello che stiamo vedendo c’è qualcuno che di cinema ne mastica, e anche parecchio. Concepito come primo capitolo di una trilogia, il film diretto da Steven Spielberg (il secondo episodio passerà nelle mani di Peter Jackson, qui nelle vesti di produttore, mentre il terzo sarà probabilmente co-diretto da entrambi), Tintin racconta le avventure di un reporter adolescente che gira il mondo per risolvere misteri, accompagnato dal fedele cagnolino Milù.
L’amore di Spielberg per questo personaggio nacque quando, subito dopo l’uscita de I predatori dell’arca perduta (siamo nel 1981), il regista lesse una critica al suo film su un giornale francese che elencava continui paragoni tra Indiana Jones e un certo Tintin, personaggio ideato da Hergé nel 1929 che il giovane Spielberg non conosceva. Quando chiese chi o cosa fosse Tintin, la sua assistente gli portò una copia di Le sette sfere di cristallo, che il regista esaminò con attenzione, prima di rispedirla a comprare tutte le altre puntate del fumetto. A trent’anni di distanza, possiamo comprendere come una semplice curiosità sia divenuta omaggio a uno degli albi più venduti di sempre (oltre trecentocinquanta milioni di copie in tutto il mondo) e al cinema in generale.
In effetti aveva ragione quel giornalista: vedere Tintin fa pensare tantissimo a Indana Jones e alle sue avventure, e non solo perché a chi guarda non viene concesso un attimo di respiro, ma perché il mondo di Tintin è composto, puro e semplice, e se il suo protagonista non ambisce a correr dietro ai predatori dell’arca perduta di sicuro, proprio come Indy, cerca e insegue sempre la verità.
3D nativo e Motion capture ad opera della Weta di Jackson non fanno rimpiangere i volti degli attori in carne e ossa, anche perché in Tintin, come ha sottolineato Spielberg: “quelli che si vedono sullo schermo sono i veri volti degli attori. La loro vita emotiva è tutta nelle immagini, anzi, se possibile, riusciamo a catturare ogni sentimento e ogni emozione ancora più intensamente. La tecnologia è solo un mezzo per raggiungere un fine e il fine è e deve essere sempre e solo quello di raccontare una storia nel miglior modo possibile”. Centinaia di sensori su volto e corpo di Jamie Bell (Tintin), altrettanti ne sono serviti per realizzare Captain Haddock, lupo di mare di lungo corso col vizietto per la bottiglia (il sempre più strepitoso Andy Serkis), così come per il malvagio Sakharine (Daniel Craig).
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Splendido, poi, il lavoro dei tre sceneggiatori Steven Moffat, Edgar Wright e Joe Cornish, che sono riusciti ad amalgamare due delle storie di Hergé senza che si percepisca dove finisca una e inizi l’altra, farcendo il plot con gag degne della migliore tradizione del cinema classico. Insomma Tintin è uno di quei film consigliati a tutti, nessuno escluso, che mantiene un ritmo incalzante e visivamente vivo, senza mai una sbavatura, un intoppo o una caduta di stile.
Azione, avventura, animazione e commedia, ma anche detective story, vascelli pirati e tesori nascosti: in sintesi, spettacolo a trecentosessanta gradi. L’aspetto più interessante di Tintin, però, resta quello che si respira durante l’intera durata del film: vedere un instancabile raccontastorie di quasi settant’anni che continua a non porre alcun limite alla propria immaginazione, e che ha ancora voglia di sperimentare e di mettersi in gioco. Caratterizzato da un rassicurante gusto retrò (in cui Spielberg da sempre si trova particolarmente a proprio agio), senza però risultare noioso o antiquato, Tintin è la prova che nel cinema, bisogna saper aspettare, magari un compagno di viaggi come Peter Jackson che, mentre ti lanci nel vuoto, ti disegna un paio di ali.
Thanks to Movielicious! ;-D
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