Inizi anni’70, in piena guerra fredda. Per la sicurezza della Gran Bretagna e dell’intero Occidente è necessario smascherare la talpa. E’ più che un sospetto, una certezza: nei servizi segreti inglesi c’è un traditore filosovietico. Un finto agente/amico che fa il gioco del nemico.

Ovviamente esiste solo un uomo capace di risolvere il caso e l’Intelligence inglese richiama in azione George Smiley (Gary Oldman in versione cupa e malinconica) che, dopo aver individuato quattro possibili sospetti, porterà a termine la missione.

Centoventisette minuti tra complicate vicende di rivalità e pseudo amicizie, splendide inquadrature e scenari di un’Europa tormentata, fredda, come la guerra in atto. Il film è tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore britannico John Le Carré, primo capitolo di una trilogia e già adattato per l’ottima serie televisiva inglese del 1979 (interpretata da un magistrale Alec Guinnes, assai più convincente nelle sette puntate televisive dell’epoca rispetto l’interpretazione attuale di Oldman).

In controtendenza con le ultime generazioni, Il re delle spy-story dai ritmi lenti e quasi analitici ( fra i tanti Chiamata per il morto, il sarto di panama, La casa Russia) , viene fedelmente trasposto nel film diretto da Tomas Alfredson, il regista svedese (quasi agli esordi ma apparentemente troppo sicuro di se tanto da voler rappresentare i vari generi cinematografici come Kubrick: l’horror Lasciami entrare del 2009, oggi spionaggio e di prossima uscita fantascienza).

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Seguendo la scia della lumaca, a passi lenti – molto lenti come gli svedesi sanno fare – Alfredson riesce a ricreare perfettamente l’atmosfera dell’epoca. E’ un grande affresco degli anni della Guerra Fredda, con descrizione analitica e quasi morbosa delle complicate personalità. Oltre ad un ingobbito e incupito Gary Oldman sfilano a suo fianco nomi come Colin Firth, Tom Hardy, Mark Strong, David Dencik e John Hurt, nel film colleghi con cui ha condiviso la vita segreta e spericolata (se non fosse per il palese mestiere parrebbero più miti compagni di bocce in pensione, a parte il giovane e affascinante mercenario Tom Hardy).

E forse il punto forte del film, allo stesso modo quello debole, è la troppa eleganza e delicatezza che da ai personaggi. Il cinema è l’unica arte globale che interagisce con delle peculiarità, se ne viene a mancare anche solo una si rischia l’imperfezione, la nota stonata. Da un cast così eccezionale, da un best seller di rinomato successo qualcosa spinge in direzione opposta però, quasi controvento: non si discute la qualità del film ma la qualità dei personaggi: poco incisivi e vivaci ma addirittura troppo fragili e tormentati.

Sicuramente non ci si aspetta né da Le Carrè (seppur ne la spia che venne dal freddo e il sarto di panama ci fosse più frizzante interazione) né da uno svedese l’azione e i fracassoni inseguimenti da “mission impossible” ma qui i ritmi son fin troppo lenti, le emblematiche figure vengono sostituite da malinconiche creature solitarie, in penombra, quasi disperate, assente è la loro vita privata e il loro quotidiano, molte con tendenze omosessuali (forse una di troppo, a sottolineare che negli anni’70 non si poteva esternare mentre oggi si, è superfluo questo). Anche la talpa è fin troppo talpa e Smiley troppo silenzioso nelle indagini e totalmente assorto nel suo dramma familiare.

E’ un film un pò troppo pretenzioso perché le aspettative sono alte, bisognerebbe attenersi al suggerimento degli psicoanalisti: non bisogna avere troppe aspettative nella vita.

Da vedere esclusivamente in una sala cinematografica rimanendo concentrati e non sul piccolo schermo. Una minima distrazione e ci si smarrisce, rischiando di cambiare canale.

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