Torna sul grande schermo il maestro Giuliano Montaldo, e lo fa con un’opera di grande spessore, scritta come si faceva una volta, fotografata in un elegantissimo bianco e nero con striature seppia. La crisi si è abbattuta sul tessuto sociale di una città decaduta – la location è Torino, e tutto rimanda alle vicende della più nota fabbrica italiana, simbolo del capitalismo familistico dove la leadership è tramandata per via ereditaria.

Montaldo, ben sostenuto da un cast tecnico di alto livello, affida all’ormai onnipresente Pierfrancesco Favino (qui a dire il vero piuttosto bravo) il ruolo-clou di Nicola Ranieri, il cui padre – di origini meridionali – ha, con grandi sacrifici e lavorando sodo, accumulato una piccola fortuna, lasciandogli una fabbrica di medi dimensioni specializzata nella produzione di pannelli solari che però restano sempre più numerosi nei magazzini, invenduti.

Nicola ingaggia quindi una lotta disperata contro le banche che gli negano il credito necessario, contro gruppi industriali stranieri che vogliono mettere le mani sull’azienda, contro la suocera, una proprietaria terriera avida e spietata, contro il suo stesso legale, l’infido Ferrero (un efficacissimo Francesco Scianna). Gli è al fianco Laura, bella, giovane, indipendente (ha uno studio pubblicitario condotto con l’amica del cuore Marcella, la brava Elena Di Cioccio), la quale però scalpita, è sempre più a disagio nei panni della moglie di un imprenditore ostinato e inasprito dal fallimento incombente. Ecco quindi che Laura – personaggio ritagliato su misura su Carolina Crescentini – sembra cedere al garbato corteggiamento di Gabriel, un giovane artista romeno che per sbarcare il lunario lavora nel garage dove parcheggia il suo bel macchinone.

Si apre così per Nicola un nuovo fronte, sul quale lotterà con la stessa determinazione e spregiudicatezza con cui, alla fine, riuscirà a salvare l’azienda di famiglia dal fallimento. Il prezzo che dovrà pagare il giovane industriale si rivelerà però altissimo.

Dirigendo magnificamente protagonisti e comprimari (tra i quali spiccano Mauro Pirovano nei panni del pavido ragioniere dell’ingegner Ranieri, Andrea Tidona in quelli dell’amico di famiglia che dispensa buoni consigli e qualche aiuto concreto, Elisabetta Piccolomini nel ruolo della suocera), Montaldo mette in scena il dramma che sta vivendo il nostro paese insieme ad altri dalla Grecia all’Irlanda, dove oscuri potentati sono riusciti ad azzerare 40 anni di lotte sindacali per impadronirsi della ricchezza di intere collettività. Uno scenario in grado di travolgere ogni residuo senso di umanità, portando chi si trova nella tempesta a perdersi e a perdere i propri affetti.

CONFERENZA STAMPA

La conferenza stampa di presentazione de “L’industriale” è stata un evento a sé, soprattutto grazie alla presenza di un Giuliano Montaldo – classe 1930 – davvero in forma straordinaria.

Celebrato dal cast intervenuto alla “Casa del cinema” di Roma, il cineasta ha deliziato i presenti con aneddoti illuminanti, come quello relativo al suo esordio da attore in “Achtung banditi” di Lizzani – un macchinista della troupe, romano, vedendolo recitare (male, come modestamente ammesso dallo stesso Montaldo) lo apostrofò così: «A Giulià, lassa perde, tanto er cinema sta in crisi!».

Era il 1950: ovvio che uno della sua tempra non si lasciasse scoraggiare facilmente, ed ecco che lo ritroviamo alla presentazione della sua ultima opera pronto a farsi beffe delle periodiche lamentazioni di produttori e cinematografari sullo stato della settima arte. Del resto, con tenacia e convinzione Montaldo ha sempre lottato per i suoi progetti: “Agli inizi degli anni Settanta ho passato un anno davanti alla porta dello studio di Carlo Ponti, per proporgli un film su Giordano Bruno. Alla fine ha dovuto cedere, e io ho potuto girare quel film».

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=kRTUWJS663o[/youtube]

Ed è chiaro che per attori rampanti come Pierfrancesco Favino e Carolina Crescentini, nonché i meno noti ma altrettanto bravi e giovani Francesco Scianna e Elena Di Cioccio, arrivare alla corte di un siffatto maestro sia un onore immenso, anche se – come simpaticamente riferito da Favino – una volta finito il film, la locandina con i suoi interpreti finisce invariabilmente attaccata alle pareti del bagno di casa Montaldo!
Il nutrito schieramento degli ospiti ha visto anche gli interventi del co-sceneggiatore Andrea Purgatori, del produttore Angelo Barbagallo e del bravo caratterista piemontese Gianni Bissaca, che ha ben inquadrato la differenza tra l’odierno capitalismo (tanto più disgregato quanto più connesso a rapaci poteri finanziari) e quello dei tempi dell’Avvocato, ai cui funerali – racconta – erano presenti anche delegati della FIOM, e non per piaggeria o presenzialismo, ma perché malgrado tutto all’epoca la Fiat faceva parte di Torino, del suo tessuto storico. Compagno di scuola di Steve Della Casa, moderatore del tavolo e presente nel film con il cameo di un operaio preoccupato, Bissaca interpreta Saverio, l’anziano operaio già amico del fondatore dell’industria per cui lavora.
Insomma, per citare un altro sapido commento di Giuliano Montaldo, «la differenza tra Marchionne – o Maglione, come si chiama?! – e il mio personaggio è che l’industriale Ranieri i suoi operai li conosce tutti di persona».
Con il divertente contrappunto fuoricampo della moglie Vera Pescarolo – l’autrice del soggetto sedeva in platea – Montaldo ha quindi raccontato la nascita de “L’industriale”, una storia che ha quasi anticipato le vicende attuali: «Si parla da tempo di milioni di euro bruciati dall’economia, e io volevo capire chi è il piromane, chi sono i responsabili della crisi e chi ne è colpito: per questo abbiamo cercato di costruire una storia che, sullo sfondo di una grande città industriale in declino, mostrasse le vicissitudini delle persone».
E il grande Giuliano Montaldo è riuscito benissimo nell’intento, ben coadiuvato da un cast tecnico di enorme valore, tra cui spicca il direttore della fotografia Arnaldo Catinari, che illumina di una luce livida la scena e i suoi protagonisti («Perché girare in bianco e nero? – si domanda il regista –Perché questa storia l’ho vista, pensata, sognata senza colore, il colore resta fuori scena»). Per questo, conclude, «non voglio che nei titoli di coda compaia la scritta “un film di”, ma “regia di”, perché il film non è mio ma di tutti quelli che ci hanno lavorato!».

[La foto di Favino sorridente è del nostro valente fotoredattore Eugenio Boiano ;-)]

You May Also Like

More From Author

1 Comment

Add yours

+ Leave a Comment