E ora dove andiamo? (Et maintenant, on va où?)

Diciotto confessioni religiose in uno Stato grande come l’Abruzzo non sono poche. È dal multiforme contesto del Libano che trae forza e ispirazione il cinema di Nadine Labaki, cineasta e attrice di grande talento attesa alla sua seconda prova dopo l’incantevole Caramel.

La storia ha luogo in un villaggio arabo, immerso nella calura e nella polvere di un paesaggio semidesertico. Qui, un gruppo di ragazzi lotta contro l’isolamento provocato da un conflitto strisciante – nello spostarsi, a piedi o su improbabili carrette, gli abitanti devono stare attenti a non finire nei campi minati – cercando il punto esatto dove collocare l’unico televisore del villaggio, in modo da captare il segnale che diffonde la trasmissione di capodanno: siamo infatti nel Duemila, anno in cui tutti auspicano che le magnifiche sorti e progressive della nuova era portino finalmente la pace in quella terra martoriata.

Gli auspici del sindaco sono condivisi dal parroco e dal mullah dell’unica chiesa e dell’unica moschea del villaggio, che sorgono l’una accanto all’altro. I due sacerdoti, entrambi pingui e indolenti, ma in fondo saggi, sanno che basterà poco alle teste calde delle rispettive fedi per dimenticare la comune condizione, l’amicizia, persino i legami di sangue, e combattersi ferocemente in nome di un dio sanguinario.

Ed ecco infatti che, malgrado la lievità con cui vengono tratteggiati i rapporti umani all’interno della piccola comunità, emerge pian piano il demone mai sopito dell’odio e della vendetta. Dai piccoli sfregi si passa ad affronti intollerabili, fino a che l’irreparabile accade: come in una tragedia greca, la vittima sacrificale è un ragazzo il cui fratello è uno dei più accaniti avversari dell’opposta religione. Per evitare il bagno di sangue, nonché la distruzione della propria famiglia, la madre dei due giovani occulta il cadavere del figlio, fingendo che non sia morto.

Da questo snodo del film, che del resto è punteggiato di trovate similmente brillanti, scaturisce in modo paradossale la soluzione – sia pure temporanea – del conflitto: la disperazione di Yvonne, la madre del morto, si converte in una pietas così veemente da indossare i panni del nemico. Ecco quindi che, sul suo esempio, anche le altre donne del villaggio si scambiano i ruoli, le cristiane indossando il velo nero e le musulmane impugnando il crocifisso, tutte insieme reclamando la pace in nome della comune umanità.

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Così finalmente ricomposta l’unità degli abitanti, si può dar luogo alla sepoltura del giovane martire, ma anche questa si rivelerà impresa non facile: il finale aperto, espresso dallo stesso titolo dell’opera, è quasi un monito a non illudersi troppo sulla possibilità di superare la guerra una volta per tutte.

Eccellente conferma del talento di Nadine Labaki, E ora dove andiamo? è impreziosito dalla luminosa bellezza della stessa regista, che – insieme alle sue compagne di lotta, giovani e anziane – apre il racconto con una soave danza funebre illuminata dalla luce obliqua di un sole mediorientale, malgrado tutto piena di vita e di speranza.

[Le due splendide immagini della meravigliosa Nadine Labaki che trovate a lato e qui sotto sono del nostro valente fotoredattore Eugenio Boiano ;-)]

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