Con Romanzo di una strage, a quattro anni da Sanguepazzo, Marco Tullio Giordana torna a raccontare una delle vicende più scomode della storia recente del nostro paese: l’attentato di piazza Fontana.
Milano, 12 dicembre del ‘69: alle 16:37 la filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura con sede nella centralissima Piazza Fontana è ancora piena di gente quando viene rasa al suolo in seguito all’esplosione di una valigetta contenente sette chili di tritolo. Muoiono diciassette persone e altre ottantotto rimangono gravemente ferite.
Nello stesso momento, a Roma scoppiano altre tre bombe e un altro ordigno viene trovato inesploso a Milano. È evidente che si tratta di un piano eversivo. La Questura di Milano punta il dito verso gli anarchici, ma poi verranno additati come colpevoli anche nazisti, fascisti ed esponenti dei servizi segreti. Accomunati sul banco degli imputati, verranno assolti tutti. Secondo la giustizia italiana, dunque, non ci sono colpevoli. O comunque, anche se nell’ ultima sentenza sono stati giudicati responsabili per aver commesso il fatto gli ordinovisti veneti Giovanni Ventura e Franco Freda, non hanno potuto condannarli perché assolti più di vent’anni prima per insufficienza di prove.
Era necessario che qualcuno traducesse in immagini quanto accaduto quel pomeriggio di quarantatré anni fa, ed era necessario che a farlo fosse qualcuno come Giordana, che è riuscito a portare al cinema i casi controversi della storia italiana (dalle vicende dell’anarchico siciliano Peppino Impastato al delitto di Pasolini) e a raccontare quella manciata di anni ideologicamente così impegnativi come furono i Settanta.
La strage di piazza Fontana rappresenta di fatto l’inizio della lunga stagione di attentati e di violenze perpetrate durante gli anni di piombo, l’incipit di quella drammatica concatenazione di eventi dietro i quali va ricercato un complesso meccanismo di controllo e di condizionamento dell’attività politica italiana che risponde al nome di strategia della tensione.
E il ripercorrerla attraverso questo film-inchiesta che mescola il suggestivo materiale di repertorio in bianco e nero alle scene girate dal regista milanese, rievoca quel senso di incredulità e disorientamento che ha insanabilmente scosso il Belpaese quel lontano 12 dicembre del 1969. Attraverso un linguaggio schietto e diretto, abile nel non perdersi in troppe chiacchiere, Giordana porta sullo schermo ombre, luci e penombre di questa buia e scomoda pagina della nostra storia recente, ispirandosi al libro Il segreto di Piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli.
Aiutato dagli sceneggiatori Sandro Petraglia e Stefano Rulli e da un validissimo cast (Valerio Mastandrea è Luigi Calabresi, Pierfrancesco Favino è Giuseppe Pinelli, Laura Chiatti è Gemma Capra, Fabrizio Gifuni è Aldo Moro), l’autore considerato a tutti gli effetti l’erede di Francesco Rosi, sferra il suo massiccio colpo mirando a scuotere le coscienze collettive. E ci riesce.
Come fonte di ispirazione, un articolo di Pier Paolo Pasolini apparso sul Corriere della Sera il 14 novembre del ‘74: Cos’è questo golpe? Il romanzo delle stragi, uno di quei memorabili scritti corsari in cui l’autore enunciava a chiare lettere: “Io so, ma non ho le prove”. Giordana invece le prove le ha, ora che sono passati tanti anni, e le mette in campo tutte, ricostruendo la propria verità sull’attentato.
“Un film rivolto ai ragazzi, a chi non sa nulla e a chi non conosce i fatti. Un capitolo doveroso, rimosso dalla storia del nostro Paese” ha detto il regista parlando del suo film, anche se non risulta facile, per chi non abbia almeno un’infarinatura generale su quanto accaduto in quel periodo, districarsi tra i molti personaggi che appaiono sullo schermo e incasellarli per bene all’interno della vicenda. Rimane difficile da comprendere anche il motivo per cui alla fine della pellicola il messaggio che passa è che si sappia poco o niente su chi abbia fisicamente preso parte alla strage mentre, anche se non ci sono stati dei condannati, dalle sentenze sono emersi i nomi dei colpevoli. Una scelta controversa che se narrativamente funziona, lasciando un ulteriore alone di mistero sulla vicenda, da un punto di vista storico rimane assolutamente discutibile.
Di fatto il sentimento più forte che ci ha assaliti dopo aver visto il film è stata una rabbia latente e soffocata. Certo non ci voleva Giordana per sapere che lo Stato, se minacciato, è pronto a ricorrere a qualunque mezzo, non importa se antidemocratico, ed è disposto a tutto pur di autoconservarsi, ma in Romanzo di una strage questo concetto viene ben dipanato e non fa che rafforzare questa certezza. Il farsi carico, poi, della responsabilità di puntare di nuovo i riflettori su un pezzo di storia tanto difficile e dolorosa, con l’assoluta certezza che tanto è impossibile compiacere ogni privata verità che ciascuno di noi ha potuto costruirsi nel corso degli anni, ci fa apprezzare Marco Tullio Giordana e il suo cinema indagatore ancora di più.
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