Quando si fanno uscire due film l’anno, è praticamente impossibile sfornare soltanto dei capolavori. Allen è uno di quei registi coraggiosi e volenterosi (nevrotici, forse, è il termine più appropriato) registi la cui materia grigia è talmente e continuamente in movimento da essere costretto a riversarne un po’ in una pellicola con una certa frequenza, altrimenti rischia di esplodere. Con i tempi che corrono è lodevole che qualcuno possa ancora scoppiare di idee. Premessa necessaria, ma non sufficiente, a giudicare del tutto positivamente l’ultima fatica del regista newyorchese, To Rome with Love, produzione di cui abbiamo seguito da vicino le riprese l’estate scorsa.
Una trama suddivisa in quattro episodi, quadri a sé stante, che hanno in comune solo lo sfondo: una Roma da cartolina. C’è un architetto americano (Alec Baldwin) che rivive la sua gioventù trascorsa a Roma; una prostituta d’alto bordo (Penélope Cruz) che per sbaglio sconvolge la vita di un giovane e impacciato italiano (Alessandro Tiberi), la cui moglie (Alessandra Mastronardi) si perde nelle strade della capitale incappando nel suo attore preferito (Antonio Albanese); un uomo comune (Roberto Benigni) che improvvisamente e senza alcun motivo viene travolto dal successo e un discografico americano ormai in pensione (Woody Allen) che, arrivato a Roma, conoscerà il suo consuocero (Fabio Armiliato), innamorandosi della sua voce e tentando di portarlo al successo.
Abbandonata la comicità colta e letteraria che pervadeva Midnight in Paris, Allen torna ad essere l’Alvy Singer di Io e Annie, l’Isaac Davis di Manhattan, il personaggio che gli riesce meglio, quello in cui probabilmente si riconosce di più: ansioso, nevrotico e con lo spettro di Sigmund Freud sempre in agguato. Sono sue le battute migliori, accenti feroci da autore navigato tesi a sottolineare, ancora una volta, i vizi privati e le pubbliche virtù del genere umano. Sarà per questo che il suo episodio è quello che funziona meglio, quello più “alleniano” di tutti, in cui non mancano situazioni paradossali e assolutamente comiche (molto bravo il tenore Fabio Armiliato, nei panni del becchino-cantante lirico). Sulle altre tre storie, invece, scende l’oblio. Benigni che probabilmente è stato inserito nel film perché di fatto è l’unico attore italiano conosciuto anche all’estero, è protagonista di una vicenda che non ha né capo né coda.
Così come appare piatto l’episodio dei due neosposi di provincia Tiberi-Mastronardi alle prese con una Roma in cui il peccato si nasconde dietro ogni angolo (fa eccezione il cameo di Riccardo Scamarcio nei panni del ladro pugliese e gentiluomo che regala un piccolo divertente guizzo sul finale). Invece la vicenda “all american” con Alec Baldwin (la cui natura del personaggio, un po’ mentore, un po’ spirito guida, non è chiara nemmeno ad Allen, come ha spiegato in conferenza stampa), Jesse Eisenberg ed Ellen Page risulta essere la più illusoria e malinconica. La giovane Page nel ruolo di femme fatale, attrice e seduttrice incallita, rimanda a ben altre donne alleniane, una su tutte la Diane Keaton di Manhattan con un grado di irresistibilità direttamente proporzionale all’indole instabile e problematica. Ma anche qui, nulla che non si sia già visto.
C’è poi un aspetto in particolare di To Rome with Love che è senza dubbio il più irritante: il modo in cui Woody Allen vede la città eterna, e cioè esattamente come la vedono i milioni di turisti che la invadono ogni anno. Da uno come lui ci saremmo aspettati una visione più particolare e meno qualunquista: non c’è un luogo di Roma che il regista abbia inserito nel film che non faccia parte del giro turistico più venduto dai tour operator capitolini: Piazza di Spagna, il Colosseo, qualche vicolo di Trastevere, il Campidoglio e Via Veneto. Per non parlare del modo in cui invece Allen vede i suoi abitanti: goderecci, lassisti e voluttuosi (ma forse qui non sbaglia di molto).
Non convince, inoltre, la soluzione narrativa del vigile-narratore che introduce i vari episodi. Insomma un film decisamente poco ispirato, con il cast americano che si posiziona una spanna sopra a quello italiano, e a cui mancano la freschezza e l’originalità delle pellicole alleniane più elevate. Non rimane che aspettare con fiducia la prossima avventura del regista americano che si snoderà tra New York e San Francisco, e non a Copenhagen, come si era mormorato.
[Thanks to Movielicious per l’articolo e ad Eugenio Boiano per le immagini di Woody “black and white” e del cast a colori! 😉 ]
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