Colpire al cuore e sbagliare mira

Pur onesto e sincero nelle intenzioni, Il primo uomo, purtroppo, non è un film perfetto, nonostante l’ammirevole caparbietà di Gianni Amelio (che è stato per anni, insieme a Moretti, il miglior rappresentante del cinema italiano a livello internazionale, in anni molto bui) nel superare innumerevoli difficoltà nel corso della lavorazione.

L’opera di Amelio pare un po’ girare a vuoto, soprattutto nella parte iniziale, stentando a decollare a livello narrativo e di ritmo. Non che sia mai stato un regista d’azione, Amelio, ma dopo una prima parte di introduzione funzionale dei personaggi, ci aspetteremmo una svolta nel racconto, al di là del vincolo, in realtà in genere, a nostro parere, sempre poco utile, di fedeltà al testo letterario di Albert Camus, cui il film è liberamente ispirato.

Invece, l’elemento che sembra il cardine della seconda parte del film, cioè il tentativo del protagonista, interpretato dall’efficace Jacques Gamblin, di salvare il figlio del suo vecchio compagno di classe dalla ghigliottina, per aver collaborato con l’FLN, non viene sviluppato come sarebbe stato opportuno.

Il film finisce, così, per risultare soltanto un curioso esperimento, a suo modo anche interessante, un ibrido di naturalismo ed economia stilistica da un lato, e di viaggio a flashback nella memoria di un uomo (il primo uomo del titolo, punto di contatto e confronto pacifico tra francesi e algerini), dall’altro. Non manca di fluidità e momenti riusciti, come la sequenza dell’attentato, ma negli scambi di battute – non avvantaggiati da un doppiaggio poco soddisfacente – pecca di inverosimiglianza e disomogeneità, cosa che risulta fastidiosa.

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Si alternano, infatti, frasi auliche, “letterarie”, a dialoghi banali ed elementari, che lasciano perplessi. Senza contare che, nella scelta del cast, non sembra una buona idea far interpretare lo stesso personaggio, in due età differenti, da due attrici molto diverse come l’affidabile Maya Sansa, dagli occhi marrone scuro, e la francese Catherine Sola, dagli occhi più chiari.

Non proprio un passo falso, dunque, per Amelio, ma di sicuro un film minore, impreciso, inspiegabilmente freddo, tanto nel restituire lo sfondo storico di riferimento, quanto nel trattare una materia melodrammatica – sono da intendere in senso lato sia il rapporto complicato padre/figlio, già affrontato da Amelio in altri film, sia quello madre(patria)/figlio – che implode in un ermetismo psicologico e in un’austerità, che qui appaiono senz’altro fuori luogo.

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