Con Harry Potter ormai concluso e la Twilight saga in dirittura d’arrivo, l’industria cinematografica americana aveva assolutamente bisogno di un altro prodotto, meglio se con un tocco fantasy e di letteraria provenienza, da trasformare nel nuovo fenomeno pronto a smuovere masse di spettatori. A tentare il colpaccio, portandolo a segno, ci ha pensato la Lions Gate, che ha visto nei romanzi di Suzanne Collins delle vere e proprie galline dalle uova d’oro. La vicenda di Hunger Games è ambientata a Panem (direttamente dal detto giovenaliano panem et circenses), il territorio degli attuali Stati Uniti, in in futuro post-apocalittico. La capitale, Capitol City, governa in maniera spietata i dodici distretti in cui è divisa la nazione.
Per punirli da una rivolta passata e ricordare la loro inferiorità, il campidoglio organizza ogni anno gli Hunger Games, violento reality show televisivo cui partecipano i cosiddetti Tributi, due giovani tra i 12 e i 18 anni (rigorosamente un maschio e una femmina) i cui nomi vengono estratti a sorte e il cui unico scopo è di restare vivi sino alla fine. Ma c’è posto per un solo vincitore. Contrapposta ai Tributi ben allenati che si sono preparati agli Hunger Games per tutta la vita, la sedicenne Katniss Everdeen e il suo compagno di distretto Peeta Mellark possono contare solo sul loro istinto di sopravvivenza per affrontare questo gioco mortale.
A una prima occhiata Hunger Games non propone argomenti particolarmente originali. La spettacolarizzazione della morte, il pubblico in visibilio nell’assistere a episodi di efferata violenza e la lotta di un singolo costretto ad affrontare schiere di agguerriti nemici, sono di fatto delle realtà esistenti fin dai tempi dell’antica Roma. Allora erano gladiatori, guerrieri e martiri cristiani ad essere sbattuti in un’arena a combattere e a morire solo per appagare il gusto di un pubblico umanamente basso e volgare. Ora invece la disperata lotta per la sopravvivenza di Katniss e Peeta funge da trait d’union tra macrogeneri come i pepla, la science fiction e la recente mania da reality show, includendo gli spettacoli delle antiche arene imperiali, la presenza di uno stato totalitario fortemente gerarchico caro a molta letteratura fantascientifica e cyberpunk (da Orwell a Dick) e la televisione-verità che impazza da (troppi) anni. Numerosi i rimandi cinematografici: da L’implacabile di Paul Michael Glaser a Rollerball di Norman Jewison, dall’orwelliano 1984 fino al giapponese Battle Royale, diretto da Kinji Fukasaku, passando per The Truman Show.
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Eppure Hunger Games riesce a catturare lo spettatore e non solo quello adolescente. Decisamente meno telenovela rispetto alla Twilight saga, e con un concentrato notevole di scene action, la pellicola diretta da Gary Ross non solo appagherà anche il pubblico maschile, ma persino una platea generalmente più esigente e in cerca di professionalità sia da parte del cast artistico che tecnico. Target furbescamente allargato, dunque, e una protagonista a cui bisogna riconoscere gran parte del merito, una Jennifer Lawrence, bella, brava e soprattutto in gamba, pronta a dividersi tra blockbuster (X-Men: L’inizio) e pellicole indipendenti (Un gelido inverno, film per cui ha ricevuto una nomination all’Oscar). In Hunger Games è spalleggiata da attori del calibro di Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Stanley Tucci e Donald Sutherland; oltre che dai giovanissimi Liam Hemsworth (fratello di Chris/Thor) e Josh Hutcherson (il figlio minore di Annette Bening e Julianne Moore ne I ragazzi stanno bene).
[Nota del Caporedattore: senza dimenticare lo stilista più cool dei Giochi, interpretato da Mr Lenny Kravitz!]
Insomma la forza di quest’opera risiede, oltre che nella regia fluida di Ross (il cui ultimo lavoro dopo Pleasantville e Seabiscuit, risale al 2008: Le avventure del topino Despereaux), nel fatto che ci troviamo davanti a un teen drama contaminato però da elementi fantascientifici e politico-sociali che difficilmente ci si aspetta di vedere in simili produzioni. Così a prendere il posto di maghetti, pozioni, vampiri e licantropi, ecco avanzare una spiazzante crudeltà ed evidenti echi di regimi dittatoriali della nostra storia recente, elementi anch’essi poco utilizzati nei teen movie, nonostante l’ambientazione distopica sullo sfondo.
E poi c’è l’accusa affatto velata alla crescente invasività dei media nelle vite delle persone comuni, unita al conseguente imbarbarimento della coscienza critica degli spettatori, privi ormai di qualsiasi morale e opinione e ridotti a fruitori passivi e abulici. Hunger Games è di fatto un mischione scaltramente concepito, in cui i generi si contaminano tra loro ma con un disegno ben definito, e in cui l’unico rammarico rimane lo scarso approfondimento psicologico dei personaggi. Che sia l’inizio di un nuovo modo di concepire le saghe adolescenziali vecchio stile, inserendole in un contesto più maturo e popolandole di protagonisti con problemi ben più gravi da affrontare che un amore impossibile tra un succhiasangue e un’umana? Staremo a vedere.
[Thanks to Movielicious!]
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