The Bourne Legacy: intrigo, azione e colpi di scena, ovvero come fare un film di Bourne senza Bourne e mantenere alto il livello. Era il lontano 2002 quando lo spietato agente segreto col volto di Matt Damon faceva la sua prima comparsa sul grande schermo. Nato dalla penna di Robert Ludlum, il Jason Bourne cinematografico aveva dovuto fare i conti con un passato difficile e burrascoso prima di poter rivendicare l’esigenza di una nuova vita. Passando il testimone al collega Aaron Cross (Jeremy Renner), la saga continua, e va ad indagare sulle reali motivazioni che hanno spinto l’agenzia a creare l’operazione Blackbriar.

Un attimo, dove eravamo rimasti? A quando l’ex-agente segreto Jason Bourne ha scoperchiato il vaso di Pandora al termine di The Bourne Ultimatum (ultima pellicola della trilogia con protagonista Damon). L’illegale programma medico e di addestramento che ha generato i superagenti, l’operazione Blackbriar appunto, sta per essere rivelato all’opinione pubblica, e la CIA ha intenzione di fare pulizia: gli agenti come Bourne e i laboratori in cui i farmaci necessari al programma sono stati prodotti vanno eliminati. L’operazione condotta dal colonnello Eric Byer (Edward Norton) trova però un ostacolo davanti al ribelle Aaron Cross, che non accetta di essere eliminato e che, scappando, coinvolge nella fuga la scienziata Marta Shearing (Rachel Weisz), anche lei con una condanna a morte che le pende sulla testa.

Finalmente un ruolo da protagonista, per Jeremy Renner che dopo essere apparso al fianco di Tom Cruise in Mission Impossible: Protocollo fantasma e a quello di Scarlett Johansson, Robert Downey Jr. e gli altri supereroi Marvel in The Avengers, si è guadagnato un bel ruolo da protagonista in quello che ha tutta l’aria di voler essere il primo capitolo di un nuovo franchise al cardiopalma. Il lavoro iniziato da Doug Liman con The Bourne Identity e portato avanti da Paul Greengrass con The Bourne Supremacy e The Bourne Ultimatum viene così portato avanti dallo sceneggiatore di tutti e tre i capitoli, Gilroy appunto, che è balzato sulla sedia del regista per dirigere questo quarto Bourne, apportando dei cambiamenti, sia di scrittura che formali alla saga, visibili soprattutto nel nuovo protagonista. Se da un lato Jason Bourne era un killer spietato e indisciplinato, sempre in cerca dello scontro fisico per affermare la propria dominanza, Aaron Cross ci appare come un combattente più maturo e meno invasato, in grado di tenere sotto controllo il proprio corpo e le proprie emozioni. Ci sono situazioni in cui è quasi dispiaciuto di dover ricorrere alle maniere forti per sbaragliare gli avversari di turno e tutto quello che è in grado di fare lo sfrutta per mettere in salvo le ignare vittime dell’operazione diretta dal perfido colonnello Byer.

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Utilizzando la formula vincente ormai rodata che unisce inseguimenti al cardiopalma, location esotiche e attori in grado di reggere il ritmo incalzante della sceneggiatura in The Bourne Legacy il protagonista Jeremy Renner può contare  su due spalle robuste sulle quali potersi appoggiare, quella di Edward Norton nei panni del villain (un tantino distaccata la sua performance) e quella decisamente più invogliante della brava e bella Rachel Weisz che, forse in seguito al suo matrimonio con l’agente 007 in carica Daniel Craig, non ha resistito al richiamo di Gilroy che le ha proposto di prendere parte a un vero action movie (perché La mummia non lo era, affatto) girando senza aiuto di uno stunt tutte le scene più pericolose. Da vera signora Bond. Insomma, questo quarto “Bourne senza Bourne” mantiene l’andatura veloce dei film precedenti e la qualità della struttura narrativa portante (molto valida la scelta di creare un personaggio le cui azioni sono le conseguenze dirette innescate dagli eventi descritti nei precedenti film), anche se perde un po di quel rigore e di quella precisione a cui Paul Greengrass ci aveva abituati negli episodi da lui diretti.

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