Dopo aver ricevuto il Grand Prix della Giuria all’ultimo Festival di Cannes, Reality arriva nelle sale italiane subito dopo aver ingoiato il boccone amaro della mancata candidatura agli Oscar 2013. Per quanto ci riguarda, il film di Matteo Garrone è stato il cavallo su cui abbiamo puntato per la concitata corsa al premio, convinti come siamo del fatto che possieda un linguaggio più universale e facilmente comprensibile del pur splendido Cesare deve morire dei fratelli Taviani.
Dopo un’apertura letteralmente da fiaba, Garrone ci accompagna a seguire le vicende di Luciano (Aniello Arena), un pescivendolo napoletano che per integrare i suoi guadagni si arrangia facendo piccole truffe insieme alla moglie Maria (Loredana Simioli). Grazie ad un’innata simpatia e ad una verve da attore comico, Luciano non perde occasione per esibirsi davanti ai clienti della pescheria ed alla sua folta schiera di parenti con numeri improvvisati. Un giorno, spinto dai familiari, partecipa ad un provino per entrare nella casa del Grande Fratello: da quel momento la sua percezione della realtà cambia radicalmente e il sogno diventa, mano a mano, un’ossessione da cui gli è impossibile liberarsi.
Se Gomorra era una favola nera (parole dello stesso Garrone), Reality può essere definito a tutti gli effetti una fiaba sociale, nonostante sia tratto da una storia vera accaduta proprio a Napoli. Apparentemente lontano dal taglio incalzante e neoreal-documentaristico del film tratto dal best seller di Saviano, qui Garrone si diverte a giocare con ciò che è reale e ciò che lo sembra, evocando e omaggiando il Visconti di Bellissima e il De Sica di Matrimonio all’italiana e strizzando l’occhio alle atmosfere delle commedie di Eduardo. Costruendo una farsa in cui ciò che si vede in TV risulta essere più vero di quello che accade nel quotidiano, il regista romano ci prende per mano e ci porta nel suo universo kitsch dove il cattivo gusto è imperante e dove personaggi eccessivi, situazioni limite e accadimenti surreali sono di casa.
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I non-luoghi in cui si muove Luciano, dall’outlet all’acquapark, dall’hotel specializzato nell’organizzare matrimoni in serie al locale in cui gli ex concorrenti del GF vengono chiamati come ospiti ad animare le serate, sono tutti tasselli che non fanno che aumentare in chi guarda la consapevolezza del vuoto morale in cui è sospesa la vicenda. La grande illusione, poi, è alimentata ancor di più dal fatto che l’ingenuo Luciano è assolutamente convinto del fatto che, raccontando il proprio vissuto, la propria esperienza di vita, entrerà nel reality e, cosa più importante, ne uscirà da vincente: nulla lo può scalfire, perché lui è vero come quella realtà sbandierata ai quattro venti e ricercata ad ogni costo dagli imbonitori del Grande Fratello.
Ma pur confezionando un perfetto manifesto di alienazione (quella a cui arriva il protagonista, preannunciata dall’inquietante presenza del robottino da cucina factotum, elemento di separazione all’interno del focolare), con Reality, Garrone realizza soprattutto il suo film più corale, in cui tutti i personaggi, sospesi a mezz’aria tra realismo e magia in perfetto stile felliniano, contribuiscono ad alimentare prima e a far detonare poi, il sogno di Luciano. La pellicola, in questo modo, si avvicina molto più alla poesia che non alla perfezione filmica: dura un po’ troppo e a metà del secondo tempo soffre del classico momento di stanca per far riprendere fiato allo spettatore e prepararlo al gran finale. Che questa volta è grande davvero, anche se non quanto il piano sequenza iniziale. Le luci e le ombre di Marco Onorati sono commoventi e, insieme alle musiche di Alexandre Desplat sottolineano lo squallore pittoresco di questa amara favola contemporanea.
QUI trovate le videointerviste al cast del film.
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