Sesso come catarsi, come weltanschauung, come fulcro.

Alla Mostra del Cinema di Venezia dello scorso anno, Steve McQueen presentò il limbo di atarassia e di progressiva degradazione del suo magnifico Shame, tratteggiando la vita priva di sbocchi di un erotomane capace di subordinare qualsiasi prospettiva alla ricerca spasmodica dell’orgasmo. Fu uno degli episodi più alti, intensi e controversi della stagione appena apertasi, amatissimo ma anche frainteso da molti, visto che parte consistente della comunità LGBT vide la sequenza dell’amplesso omosessuale come la tappa finale dell’abiezione del protagonista e, più in generale, vennero mosse accuse di sessuofobia vagamente reazionaria. Per la pellicola che impose definitivamente il talento soverchiante di Michael Fassbender, tuttavia, la velata ambiguità di fondo non intaccò minimamente il nitore di un film sincero e appassionato, oltre che formalmente impeccabile, nel quale, già a partire dalla vergogna del titolo, molto veniva lasciato alla sensibilità interpretativa e all’intelligenza dello spettatore, libero di cogliere nella satiriasi, nella solitudine e nella disumanizzazione i significati a lui/lei più congeniali. Insomma, l’opera seconda dell’autore di Hunger seppe combinare una messinscena da compositore di immagini di prim’ordine con una concezione della vita e della coscienza umana tanto repulsiva quanto appassionante.

Che cosa manca, quindi, al francese Elles, presentato in anteprima a Toronto curiosamente a pochi giorni dall’annuncio del palmares lidense?
Che cosa non funziona in questa specie di versione antitetica e muliebre del piccolo miracolo di McQueen?
Innanzitutto è il discorso a farsi eccessivamente semplicistico e ad adottare un punto di vista fumosamente antiborghese e superficialmente provocatorio, che finisce a tratti per esaltare la vitalità e l’esuberanza delle giovani escort interrogate dalla matura giornalista Anne rispetto allo stanco iter della vita coniugale di quest’ultima.

Elles, riassumendo, raggruppa tre piani narrativi ben differenziati: i confronti fra Anne e due avvenenti universitarie costrette dalle circostanze ad arrotondare prostituendosi, la routine delle prestazioni delle ragazze e la frustrazione quotidiana della loro intervistatrice, impegnata nella preparazione di un lauto banchetto che avrà come ospite il capo di suo marito. E’ un percorso tortuoso, sulla carta affascinante, che procede per accumulo e per associazioni più che per tradizionale consequenzialità, dove la performance sessuale con pissing in chiusura della più procace Alicja viene accostata alle allusivamente romantiche confessioni della più timida Charlotte e alla visita di Anne al padre malato, che culmina in un massaggio ai piedi ai limiti del masturbatorio.

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A mano a mano che però si comincia a teorizzare l’affinità del vissuto delle tre donne, la tesi perde di forza e di credibilità (accondiscendere ai desideri di un cliente sadico è davvero equiparabile – se non preferibile – a mettersi i tacchi a spillo in occasione di una serata conviviale?), e la riscoperta della sessualità da parte dell’infelice cinquantenne Anne, fatta di crescente complicità con i due oggetti del suo reportage, di silenziose attività autoerotiche sul pavimento del bagno e di ostriche sgusciate e sniffate con voluttà (con tanto di beethoveniana Settima Sinfonia in sottofondo) sa di stantio e di sommario, come se l’unica soluzione per un matrimonio inariditosi fosse lasciarsi ispirare dallo stile di vita del mestiere più antico del mondo.

Si dovrebbe provare benevolenza per la nostra annoiata eroina e addirittura commuoversi quando, nel momento forse più ripugnante, tediata dalla compagnia del consorte e dei suoi commensali, nel corso della cena si immagina, beandosi, circondata dai clienti descrittile da Alicja e da Charlotte; invece ci si chiede se una tale insofferenza da parte della regista per una figura sostanzialmente innocua e, a dir tanto, piatta come quella del marito derivi più da problemi di natura personale che da un tentativo di analisi sociologica.

Perché Elles fallisce anche come scavo psicologico tanto del deserto di passioni della mezza età quanto della realtà mercificata della post-adolescenza, adagiandosi nei luoghi comuni della prima e non accennando nemmeno la seconda: da dichiarazioni esplicite della regista Malgorzata Szumowska, il progetto intendeva concentrarsi quasi esclusivamente sul personaggio di Juliette Binoche – come al solito superlativa, ma qui penalizzata da una caratterizzazione abbozzata con cui risulta difficilissimo simpatizzare – però in questo caso l’assenza di un vero conflitto non fa che rendere la ribellione di Anne gratuita e spropositata, e la giustapposizione di scene decisamente forti – in primis, Alicja sodomizzata con una bottiglia di vetro – inserite (sempre a detta di Szumowska) per mostrare che in fin dei conti la vita della puttana non è tutta un idillio sembra dimostrare inoltre che non ci si sentisse pienamente sicuri del già discutibile assunto di partenza.

Tirando le somme, pur senza raggiungere le vette misandriche di Catherine Breillat, Elles è un’opera approssimativa, anzi, bieca, che arriva a sfruttare la serietà di un drammatico fenomeno generazionale, spunto, peraltro, abbandonato quasi immediatamente, per ripiegare su una misera vicenda privata, rifugiandosi nel consueto repertorio di donne vittime e di uomini violenti o impotenti, sfoggiando alla fine pure un totale e generalizzato disprezzo per l’elemento umano e interpersonale (in fondo, coproduce la Zentropa, della cui sede polacca è fondatrice proprio Szumowska).

No, grazie: non è ancora arrivata per Von Trier l’ora di avere degli emuli, soprattutto se al femminile.

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