Dopo la presentazione alla stampa e la conseguente bocciatura su tutta la linea de L’isola dell’angelo caduto, è successo qualcosa di molto insolito: il regista Carlo Lucarelli si è pubblicamente scusato per aver realizzato un film che non ha raccolto il favore della critica. “Il film è venuto come volevo io. Se trovate che dentro ci siano troppe cose, o se sono pasticciate, la colpa è mia: ma essendo anche il romanzo firmato da me, almeno mi sono pasticciato da solo”… “Gli scrittori sono alchimisti, i registi devono essere ingegneri”.
Insomma, è stato un po’ spiazzante trovarsi di fronte a qualcuno acora capace di mettersi in discussione e pronto ad accettare il fatto che non tutti, in fondo, nascono registi. Una bella lezione di umiltà da parte dello scrittore.
Questa mattina siamo andati a vedere Il cecchino (Le guetteur in originale), ultima fatica del Michele Placido regista, chiamato dai cugini d’oltralpe a dirigere una sceneggiatura francese del cui cast facevano già parte Mathieu Kassovitz e Daniel Auteuil e a cui i produttori italiani hanno aggiunto Violante Placido e Luca Argentero. Budget da capogiro (quattordici milioni di euro) per una co-produzione Italio-francese che, almeno sulla carta, prometteva bene. Placido durante la conferenza stampa lo ha definito “il suo Romanzo Criminale francese”.
Noi aggiungiamo che gli sarebbe piaciuto se fosse stato davvero così. Il cecchino racconta la caccia all’uomo del capitano Mattei (Auteuil) ad una famigerata banda di rapinatori di banche, che diventa ancora più spietata quando un cecchino (Kassovitz) appostato sul tetto spara contro i poliziotti, per consentire ai suoi complici di fuggire. Buona la confezione, la fotografia livida e l’ambientazione parigina fanno sembrare il film un erede dell’ottimo 36 Quai des Orfèvres di Olivier Marchal, ma dopo la prima mezz’ora la sceneggiatura si sfilaccia e inizia a perdere pezzi. Un vero peccato. Dopo la proiezione del film abbiamo incontrato Michele Placido, a cui abbiamo chiesto come mai è dovuto andare in Fracia a girare un film così, e Luca Argentero, a cui abbiamo chiesto di parlarci un po’ di come è stato lavorare con Placido.
Di pari passo con le altre, anche la neonata sezione CinemaXXI prosegue con il suo calendario con uno dei partecipanti più immediatamente riconoscibili, quel Mike Figgis che, nel 1995 fece conquistare a Nicolas Cage l’Oscar come Miglior Attore Protagonista con Via da Las Vegas.
Suspension of Disbelief racconta la storia di Martin (il bravissimo Sebastian Koch, protagonista di Le vite degli altri) sceneggiatore e scrittore di talento ma con la carriera in battuta d’arresto. A stravolgere ancora di più la sua vita, ci pensano la morte della misteriosa Angelique e l’arrivo della sorella gemella Therese. Dopo alcune concessioni alimentari, il regista inglese torna alla sua forma più congeniale, quell’incrocio ai limiti del jazzistico (genere musicale di cui, peraltro, è anche esecutore e compositore) già visto in Hotel e in Timecode, mescolando destrutturazioni à la Peter Greenaway con numerose suggestioni lynchiane e una forte influenza godardiana. Ma come negli episodi più interlocutori delle sue evidenti ispirazioni si finisce spesso per respirare aria fritta e un intellettualismo di maniera che finisce più per respingere che affascinare lo spettatore, come una lezione di cinema da cui si esce con più dubbi di prima.
Sempre questa mattina abbiamo visto la seconda pellicola italiana In Concorso (dopo Alì ha gli occhi azzurri di Giovannesi), Il volto di un’altra di Pappi Corsicato. Protagonista è Bella (una Laura Chiatti sensazionalmente in parte), conduttrice di una trasmissione di successo sulla chirurgia estetica, sposata con René (Alessandro Preziosi), chirurgo plastico che nello stesso programma effettua gli interventi sugli ospiti. Licenziata dai produttori del programma e ricoverata nella clinica del marito dopo un incidente d’auto che la sfigura, Bella ha l’occasione per cambiare vita… e volto. Il film di Corsicato conferma il percorso di decostruzione semiotica del kitsch da parte del regista napoletano, esasperata definitivamente con Il seme della discordia, questa volta pescando a mani basse dall’estetica da fotoromanzo, dall’ipercitazionismo sfrenato e dalle consuete, coloratissime atmosfere almodovariane. Omaggi e citazioni che rendono Il volto di un’altra una piacevole sorpresa di questo magro concorso, sia per il cast (Oltre alla Chiatti e a Preziosi c’è Iaia Forte nei panni di una fantastica suora sui generis) che per le atmosfere incantate e la stramba ambientazione altoatesina. Una zampata alla società dell’immagine di cui sentivamo la mancanza, data con leggerezza e ironia da un regista che credevamo di aver perso.
Dopo la proiezione per la stampa, Laura Chiatti, Pappi Corsicato ed Alessandro Preziosi ci hanno raccontato qualcosa in più sui due personaggi principali interpretati dai due attori.
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