Discorrendo con un’insegnante di un liceo romano dell’imminenza della Giornata della Memoria (istituita in Italia dalla Legge n. 211 del 20 luglio 2000), e dell’esigenza di ricordarla alle rispettive scolaresche con qualche giorno di anticipo, dato che quest’anno il 27 gennaio capiterà di domenica, ci siamo scoperti a convenire – concedeteci la blasfemia, i nostri trascorsi non dovrebbero dar luogo a equivoci – sull’eccessiva offerta di proposte culturali, dibattiti e conferenze, interviste e pubblicazioni, dedicate alla Shoah in questi ultimi anni, laddove, ogni tanto, basterebbero poche, concise, parole. E qualche silenzio in più…
Eppure, a dispetto delle premesse, la collega ha preparato per la ricorrenza un’unità didattica sulle sorelle Andra e Tatiana Bucci, all’epoca due bambine rispettivamente di quattro e sei anni, incredibilmente scampate alle camere a gas, proponendo alla propria classe la lettura critica del racconto Il bambino con il pigiama a righe di John Boyne; mentre il sottoscritto si occuperà del noto romanzo di Fred Uhlman L’amico ritrovato, approfondendo, parallelamente, la figura di un personaggio recentemente scomparso, Shlomo Venezia, tra i pochi testimoni sopravvissuti all’esperienza del “Sonderkommando”, che ebbi la fortuna di incontrare, e intervistare, ad Auschwitz nel novembre del 2008.
Anche stavolta, tuttavia, dobbiamo ammettere che il nostro scetticismo viene sconfitto dal coraggio e dalla verità, dall’originalità e dalla semplicità del film In Darkness (W ciemności, 2011), una produzione tedesca, polacca e canadese candidata lo scorso anno all’Oscar per il miglior film straniero, diretta da Agnieszka Holland (Europa Europa, Raccolto amaro, Io e Beethoven…), non nuova ai temi della deportazione degli ebrei, sceneggiata da David F. Shamoon e tratta dal saggio In The Sewers of Lvov (Nelle fogne di Lvov, ancora inedito in Italia) di Robert Marshall, che per l’ennesima volta smentisce chiunque pensi che sull’argomento sia stato veramente detto tutto.
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Il teatro della vicenda è la città di Lvov (fondata nel XIII secolo, e polacca dal 1340) meglio conosciuta come Leopoli, oggi appartenente all’Ucraina, ritornata dopo la parentesi asburgica (1772-1918) sotto il controllo di Varsavia, ed appetita dall’URSS e dalla Germania di Hitler in virtù dell’accordo prebellico Molotov-Ribbentrop che prevedeva la spartizione dell’area baltica e polacca tra le due potenze. Tuttavia, dal 1941 al 1943 la città era stata occupata dalle truppe tedesche che avevano violato il patto invadendo il territorio sovietico. In quel tragico biennio i nazisti avevano attuato l’eliminazione dei più dei centomila ebrei presenti nel territorio attraverso pogrom e omicidi, saccheggi e confische dei beni mobili e immobili, distruzioni di sinagoghe e profanazioni di cimiteri, reclusione dei superstiti nel ghetto, da dove di tanto in tanto venivano deportati al vicino lager di Janowska, e a quelli più tristemente noti di Belzec e Auschwitz per il lavoro forzato e l’inevitabile sterminio.
Dopo la chiusura del ghetto di Lvov e il feroce rastrellamento degli ultimi ebrei rimasti in città Leopold Socha (Robert Więckiewicz), amichevolmente chiamato Poldek, è consapevole che la dipartita di costoro lo priverà di una fonte importante di guadagno. Operaio e idraulico municipale, l’astuto Socha conosce il sistema fognario di Lvov come la propria casa. Nel sottosuolo nasconde la refurtiva che si procaccia di tanto in tanto con i furti e le razzie operate insieme al giovane collega Szczepek, e che rivende al mercato nero per arrotondare il salario e rendere così meno grama l’esistenza di Wanda, la premurosa compagna, e di Stefcia, sua figlia.
Durante il sopralluogo quotidiano lungo l’oscuro dedalo sotterraneo Socha ha scovato una dozzina di ebrei sfuggiti alla cattura, i quali, hanno realizzato una botola dalla cantina di un edificio del ghetto fino a raggiungere le fogne. In un clima di reciproca diffidenza il polacco stipulerà con loro un lucroso accordo economico: soldi e gioielli in cambio del silenzio, di un nascondiglio e del cibo. Negli stessi giorni ritrova Bortnik, un vecchio commilitone, che è diventato un’importante ufficiale ucraino; questi lo esorta amichevolmente a denunciare gli ebrei che troverà nel ventre della città: i nazisti offrono la bella somma di 500 zloty per ogni giudeo.
I lunghi mesi di permanenza nelle gallerie sotterranee provocheranno ai rifugiati un’angoscia insostenibile. Nel fetore dei liquami e nell’oscurità, in compagnia di ratti e umidità, tra stenti e privazioni, amori travagliati e violenti litigi, nascite e morti, minacciati e terrorizzati dall’inconsapevolezza, dalla follia e dalla fame, alcuni tenteranno un’emersione in superficie che risulterà loro fatale. Il solo Mundek (la faccia scolpita di Benno Fürmann, già vista in Joyeux Noël) dimostra di riuscire a sopportare agevolmente ogni traversia. L’affetto per la bella Klara (Agnieszka Grochowska) sembra averlo investito di una forza sovrumana: riesce persino a infiltrarsi nel campo di Janowska al fine di convincere Mania, la sorella dell’amata, a ritornare con loro.
Anche Socha pare estremamente provato dalle pressioni di Bortnik e dai continui rischi: decide allora di abbandonare al loro destino quello sparuto gruppo di disperati. Ma le circostanze hanno optato altrimenti. Durante l’ennesima sortita nel ghetto abbandonato s’imbatte in Mundek, gravemente minacciato da un miliziano ucraino, e l’aiuta a uccidere il militare. Qualche giorno più tardi sconta gli effetti della ritorsione nazista: dieci civili polacchi impiccati, tra questi l’amico Szczepek, vengono esposti in piazza come macabro ammonimento. Ritrova poi i due bambini di Paulina e Ignacy Chiger (rispettivamente Maria Schrader, interprete di Rosenstrasse, ed Herbert Knaup de Le vite degli altri) che si erano smarriti nel labirinto fognario.
Di che cosa potrà più aver paura? Aiuterà “i suoi ebrei” fino alla fine. Senza alcuna ricompensa. Qualunque cosa dovesse accadere. Li proteggerà da ogni pericolo, nascondendoli in un ricovero ancor più angusto e irrintracciabile. La spannung della storia è imminente. La famiglia di Socha celebra la Prima Comunione di Stefcia in una mattinata plumbea che presto si scatenerà in alluvione. Poldek è preoccupato da quella massa d’acqua che invaderà le gallerie e i condotti del sottosuolo, ma mentre si precipita a soccorrere i rifugiati, s’imbatte nuovamente in Bortnik, nervoso per l’imminente arrivo dell’Armata Rossa, e sempre più convinto del tradimento dell’amico. L’ufficiale, stavolta, l’accompagnerà personalmente in una più attenta ispezione delle fognature.
L’inondazione rischia di affogare quei poveri disgraziati, e Bortnik, chiare ormai le intenzioni del polacco, lo minaccia con la pistola prima di essere investito da un’ondata fatale. Per fortuna Socha è lesto a dileguarsi e a risolvere l’ingorgo che salverà i suoi protetti. È finita. Come Noè dopo il diluvio, potrà guardare in viso le sue creature, e leggere la riconoscenza in quegli occhi che da lì a qualche giorno avrebbero rivisto il cielo. Dopo14 mesi di oscurità.
Dedicato a Marek Edelman, uno degli eroi della rivolta del ghetto di Varsavia, In darkness ribadisce con forza il diritto alla vita di ogni essere umano a prescindere dalla diversità etnica o religiosa, da quella economica o culturale. Il film non si compiace affatto di mostrare la bieca e banale brutalità del male, quantunque le scene delle sevizie perpetrate dai nazisti ai danni degli ebrei inermi non lascino indifferenti. A tal proposito segnaliamo la sequenza iniziale delle donne (un richiamo alle figure ignude di Masaccio?) braccate e barbaramente trucidate nei boschi appena fuori città. Inoltre, per via del lento crescendo di tensione, questo potente affresco viene svolgendosi come un thriller, sensazione accentuata dallo scenario claustrofobico, dall’uso frequente della camera a mano e dall’abile alternanza di scene buie e sequenze all’aperto, che provoca nello spettatore una sorta di ansioso desiderio di rivedere la luce.
Luce e oscurità che rappresentano il dualismo tra bene e male, libertà e reclusione, solidarietà e barbarie; elementi che in natura, e nelle persone, raramente troviamo distinti. Gli ultimi ebrei di Lvov non indossano i panni degli eroi: sono individui normali con le loro spiccate psicologie, onesti e imbroglioni, forti e fragili, appassionati e indifferenti, generosi e avidi, spaventati dalla violenza e dalla morte, nonché smodatamente attaccati alla vita. Uomini. Ecco perché condividiamo il loro dramma così sobriamente recitato da un cast ben assortito e sapientemente diretto.
Poldek Socha, l’operaio delle fogne, è un personaggio comune e, al contempo, straordinario, che si è imbarcato in un avventuroso viaggio fuori e dentro di sé. Il suo itinerario di espiazione passa come una fiammella fioca e tenace attraverso i tenebrosi cunicoli sotterranei percorsi per centinaia di chilometri mille volte, e mille volte ancora. È una discesa negli inferi che lo purifica interiormente giorno dopo giorno, fino a persuaderlo di portare sulle sue sole spalle l’onere di proteggere fino in fondo quel preziosissimo gruppetto di superstiti, perché anche per lui può valere il noto adagio recitato nel Talmud: “Chi salva una vita salva il mondo intero”.
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