Bellas Mariposas, ovvero della via sarda ad un Novello Realismo. Non il Neorealismo storico, che vide in Napoli e soprattutto in Roma, i luoghi concentrazionari e simbolici della durezza ma anche della poesia dell’Italia uscita devastata materialmente e moralmente dalla Guerra. Non il cosiddetto Neoneorealismo che, tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90 ha raccontato il deserto metropolitano e la desertificazione delle coscienze, portando sul palcoscenico dell’immaginario le periferie urbane di Palermo, Milano ed altre realtà inedite rispetto all’iconografia centromeridionalista di Rossellini, De Sica, Zavattini, Germi degli anni ’40 e ’50.
Il Neoneorealismo riprendeva tematiche ed ambientazioni tipiche della corrente storica e la riadattava allo stile moderno ed al “gradiente di violenza” di quattro decenni dopo, un esempio eclatante ne è proprio il parallelismo tra Sciuscià di De Sica e Mery per sempre di Marco Risi.
Negli ultimi quindici anni, si sono affacciate, all’occhi dell’obiettivo, nuove realtà sconosciute, fuori dagli stereotipi geografico-cinematografici imperanti per decenni. Realtà, nelle quali l’approfondimento antropologico e nella durezza umana del contesto, sono comunque interpretati attraverso personaggi dalla complessa psicologia e afflato lirico che li rende donne e uomini tout court e non solo rappresentati strumentali di istanze sociali, politiche, economiche. Film di quello che potremmo chiamare un Novello Realismo appunto che hanno come stella polare forse la figura carismatica Pier Paolo Pasolini ma solo come padre spirituale, come riferimento etico più che stilistico, declinato però nella contemporaneità e secondo le autonome personalità autoriali dei registi.
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Personalità come ad esempio quella di Salvatore Mereu, proprio con questo Bellas Mariposas.
Dopo Ballo a tre passi e Sonetàula, Mereu scrive, ispirandosi all’omonimo racconto di Sergio Atzeni quest’originale romanzo di formazione di una ragazzina, Cate, nella geografia umana, sociale e metropolitana del quartiere di Sant’Elia, alla periferia di Cagliari. In uno spazio scenico simile a quelli più noti de Le Vele a Scampia, del Corviale a Napoli o dello Zen a Palermo, Cate si muove con la disinvoltura e la naturalezza di chi non è cosciente ne può ne vuole giudicare un contesto familiare ed un mondo di apparente degrado e miseria. Cate, con la sua amica Luna, con i coetanei del quartiere, sono ragazzi di vita, il padre di Cate ma anche i fratelli, la sorella Mandarina, sono ragazzi di vita divenuti oramai uomini e donne di vita. Ma questa “vita” è imprevedibile, colorata, molto più impregnata di vitalità appunto rispetto alla claustrofobica dimensione anche urbanistica della società borghese. Il sottoproletariato di Mereu, tra sopravvivenza alimentare, pulsioni sessuali e desideri consumistici, ha la gioia e l’energia di chi può solo migliorare o semplicemente vivere comunque, come esigenza imprescindibile, indubitabile, necessaria.
Tra Pasolini ed apparizioni vagamente felliniane, con alcune campiture di colore almodovariane, Mereu però ha un suo stile originale. La capacità eccezionale di creare bravissimi attori dalla materia ancora inerte di volti colti realmente nel quartiere di Sant’Elia ma soprattutto l’idea registica migliore del film, quella del racconto in soggettiva di Cate rivolta alla cinepresa ed al pubblico. La trovata brechtiana, apparentemente straniante ed “intellettuale”, in realtà invece avvicina moltissimo alla verità psicologica ed emotiva del personaggio, le da profondità e creare una fortissima empatia nei suoi confronti. Cate ci racconta le sue emozioni, i suoi desideri, le sue paure con sfrontatezza ed ingenuità al contempo, ce ne fa partecipi e ci porta a non giudicare neanche i meschini o stralunati altri protagonisti del racconto.
La scelta di far parlare il film in sardo con sottotitoli, oltre ad una scelta di coerenza, diventa anche un evocativo esotismo per lo spettatore non isolano. Dopo decenni appunto di dialetti romani, napoletani, siciliani, la realtà sarda, fuori dai più ammuffiti stereotipi, indagata con verismo e dolcezza, avvicina Mereu allo spirito con cui Vittorio De Seta, raccontò i suoi pastori barbaricini in Banditi ad Orgosolo. Tra i pochi attori professionisti, prosegue il suo interessante percorso Luciano Curreli, già visto tra i protagonisti di Happy Days Motel, un volto, tra Remo Girone e Vincent Price che speriamo di rivedere spesso nel Novello Realismo.
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