Khadak_locandina originaleAltra promozione di lusso per la rassegna veneziana è l’esordio nella sezione principale per la seconda coppia di registi belgi più famosa nel mondo, Peter Brosens e Jessica Woodworth, quest’ultima in realtà americana per nascita e formazione ma oggi cittadina europea a tutti gli effetti. A differenza dei conterranei fratelli Dardenne, mai usciti dai confini del loro Paese, l’arte di Brosens & Woodworth è improntata principalmente sull’esplorazione di culture estremamente distanti dalla civiltà occidentale, si parli di Ecuador, di Peru o, soprattutto, di Mongolia, dove Brosens ha girato una celebrata trilogia di documentari alla fine del secolo scorso: nelle amate steppe centroasiatiche la coppia ha scelto di esordire nel lungometraggio di finzione con l’ambizioso Khadak, premio Luigi de Laurentiis e protagonista pressoché assoluto delle Giornate degli Autori a Venezia63.

Pur nel suo non dissimulato cripticismo, Khadak, fiaba contemporanea dove i guerrieri di un tempo hanno il volto di giovani contadini rimasti vittima delle delocalizzazioni maoiste, è un chiaro e amarissimo apologo sulla fine della civiltà, sull’avanzamento coatto di una modernizzazione involuta e annichilente, perfettamente riassunta da molte intuizioni visive che farebbero pensare ad un altro, distopico, grigissimo universo, se solo non si trattasse della realtà, dagli squallidissimi caseggiati eretti in mezzo al nulla per ospitare i nomadi spaesati ai lenti, quasi siderali movimenti dei macchinari a guardia delle miniere, dove i protagonisti scorgono il loro paesaggio ormai deturpato dal cammino dell’industria.

Sarebbe riduttivo confinare l’universo iconico di Khadak all’avventura personale del protagonista Bagi, pastore di nascita, sedentario per necessità, sciamano per predestinazione e martire quasi per caso: Khadak è ben oltre, una visione incantevole, iniziatica e a tratti arcana dove è perfettamente accettabile che un attacco di epilessia sia soltanto un modo per avere una premonizione, che i soldati mandati a contenere la rivolta vengano tenuti sotto scacco e privati delle armi dal riflesso del sole su alcuni frammenti di vetro, dove le principesse da salvare siano delle piccole ladre materializzatesi magicamente su un treno merci stese sotto quintali di carbone.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=wz4nNCYyVOg[/youtube]

A tratti sembra di respirare quei momenti di estasi tipici del tardo Tarkovskij, leggermente appesantito dal suo simbolismo misticheggiante ma capace di trasformare ogni inquadratura in una irripetibile combinazione di suggestioni visive e di sintetizzare il loro discorso con pregne immagini fulminanti e riducendo al minimo indispensabile le parole.

Abbandonando Venezia ma restando in territorio italiano, spicca l’ingresso in Concorso del russo Kirill Serebrennikov, vincitore della prima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, con il suo Playing the victim, un pretenzioso e instabile pastrocchio post-moderno dove si mescolano con effetto vagamente stordente pellicola, digitale e animazione e contaminando bellamente con la tragedia di Amleto lunghe, farsesche e, per quanto rappresentino il grosso della pellicola, digressive scene in cui il protagonista Val’ka, per raggranellare qualche soldo, interpreta la vittima (vedi titolo) nelle ricostruzioni video di delitti organizzate dalla polizia e, nel frattempo, coltiva il sospetto che sua madre e suo zio abbiano tramato e commesso l’omicidio del padre. Sarà anche vero che l’origine teatrale è discretamente dissimulata (si tratta dell’adattamento passo passo dell’omonima piece dei fratelli Presnyakov e diretta dallo stesso Serebrennikov) e che il tentativo di ritrarre la Russia putiniana e lo sbando dei giovani che la popolano si risolve talvolta in qualcosa di autenticamente pungente, ma, introdotto da un’inequivocabile dichiarazione di intenti – “‘fanculo il nuovo cinema russo!” è la prima battuta dell’opera – Playing the Victim dimostra soprattutto una scarsissima concezione del mezzo cinematografico e di una elementare idea di messinscena che non sia di derivazione strettamente teatrale, dando vita a qualcosa di assolutamente squilibrato nel quale, se già i rimandi a Shakespeare suonano artificiosi e francamente ingiustificati, davvero si stenta a trovare un epicentro non solo morale e poietico, ma anche basilarmente narrativo.

À l'origine - Francois Cluzet ed Emmanuelle Devos
À l'origine - Francois Cluzet ed Emmanuelle Devos

Oltrepassando la frontiera e approdando a Cannes, è con il francese Xavier Giannoli che si chiude la nostra cinquina, e più precisamente con il suo recente À l’origine, in concorso – e inizialmente dato come favorito per il Prix du scénario – a Cannes 2009: rispetto ai quattro autori trattati in precedenza, la carriera del cineasta di Neuilly-sur-Seine viaggia su binari nettamente più convenzionali, dove il contesto sottoproletario di Laurent Cantet viene mediato da una sensibilità più superficialmente parahollywoodiana dove i conflitti esistono ma a cui basta poco per essere risolti. E’ la storia – apparentemente vera – del truffatore Philippe (François Cluzet) che, colto da un improvviso quanto effettivamente inspiegabile senso di redenzione, porta alle estreme conseguenze il suo camaleontico talento per la dissimulazione coinvolgendo un intero paesino rimasto tagliato fuori dalle carte geografiche nell’instaurazione di una lingua di asfalto in grado di riconnetterlo alla rete autostradale locale. Il tutto, naturalmente, avverrà con gli usuali mezzi impiegati da Philippe, creando aziende fasulle, facendo i conti con soldi che (ancora) non esistono, mentendo e rubando, ma questa volta a fin di bene, e benedetto dal pur effimero idillio sentimentale con il sindaco della cittadina (Emmanuelle Devos). Giannoli regge diligentemente le oltre due ore di durata, sa coinvolgere e a tratti appassionare in questa modesta crociata popolare, ma la voglia di rischiare e di andare oltre un assunto prettamente gogoliano (si pensi a L’ispettore generale) e stravisto è davvero poca, e tutto rimane nell’ottica del tradizionale, medio cinema francese solo velatamente civile.

You May Also Like

More From Author

2Comments

Add yours
  1. 1
    samsung

    I enjoy what you guys are usually up too. This sort of clever work and reporting!
    Keep up the excellent works guys I’ve added you guys
    to my blogroll.

+ Leave a Comment