Starbuck

Starbuck di Ken Scott è un meccanismo perfetto, una bellissima storia ad orologeria, una sceneggiatura che la veste e guida lo spettatore in un film commovente ma non melenso, dal tono leggero ma non superficiale, che affronta tematiche profonde, esistenziali senza essere retorico, che parte da un presupposto pirandelliano, apparentemente iperbolico, per poi svilupparsi in un gioco psicologico ed emotivo assolutamente coerente che può toccare le corde della quotidianità di ogni essere umano. Un opera sulla paternità; sull’uscita da un’adolescenza prolungata ben oltre i limiti anagrafici e che rischia di essere una delle tare del declino di questa civiltà occidentale; sul libero arbitrio e sulla forza di essere se stessi; sulla presa di coscienza della propria finitezza ma, proprio per questo, nella volontà di superarla geneticamente, nella responsabilità  “antropologica” di saldare il prossimo anello della catena umana.

Questa pellicola canadese (interpretata da Patrick Huard, Julie Le Breton ed Antoine Bertrand) narra la storia di un uomo che, venti anni dopo essere stato donatore di sperma, viene a sapere di essere padre, per un errore del laboratorio che aveva svolto i prelievi, di 533 figli e che molti di loro vogliono conoscere la sua identità. Gli sviluppi e gli esiti della trama, a partire da questo assunto, seguono una linea narrativa che spesso sorprende con svolte impreviste che evitano facili soluzioni, semplici sentimentalismi. Il film, in questa sua rigorosa essenzialità,  è aiutato anche dall’atipica ambientazione sociale e geografica, il lontano Canada delle prime e seconde generazioni di immigrati, oramai integrati ma ancora portatori di una identità e di un’etica del “sacrificio d’amore” che David, il protagonista, a 42 anni, decide di fare sua.

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Il protagonista la trasferisce, però, dalla dimensione sociale e lavorativa a quella personale, assumendo il ruolo paterno sia verso i tantissimi figli biologici che lo reclamano, sia verso il figlio che già aspettava dalla sua compagna. Divertente e commovente è il viaggio di conoscenza e di crescita che intraprende David attraverso il contatto con i suoi tanti figli, scoprendo personalità e problematiche così varie e diversamente affrontabili che il suo ruolo più che di padre potrà essere solo quello di angelo custode. Ognuno dei tanti figli può essere quello più bisognoso d’affetto e di aiuto. Ognuno dei tanti figli però ha vissuto più di vent’anni senza di lui ed è egualmente riuscito a crescere, ad amare. Starbuck è un Filumena Marturano al quadrato, al cubo.

“I figli so’ piezz’e Starbuck”! Il film di Scott riesce ad essere commedia dell’ottimismo, alla Frank Capra, ma calata in un mondo molto contemporaneo, tra donazioni di paternità appunto, spacciatori arrabbiati, mass media che mettono in piazza il privato ed un protagonista che, grazie alla misurata ed eclettica interpretazione di Patrick Huard, ricorda molto la figura indelebile di Lebowski nel film dei fratelli Coen. Starbuck è un romanzo di formazione, una storia esemplare, didattica senza essere pedante. Commovente per gli uomini che scopriranno o riscopriranno la gioia ed il desiderio di paternità; commovente per le donne che vedranno con occhi meno severi, più comprensivi, i propri compagni frenati in un’ eterna adolescenza; pedagogico per i giovani, portati per mano da Ken Scott ad avvicinare con entusiasmo nodi della vita che la precarietà, la crisi, la fuga nel virtuale, portano sempre più a eludere con timore. Speriamo che il coraggio del distributore italiano che ci ha portato questo garbato ma potente gioiello canadese venga premiato dal passaparola in un panorama cinematografico in cui è sempre più arduo aprire uno spazio di visibilità al cinema che non fa parte del Sistema.

Starbuck_Locandina originale
Starbuck_Locandina originale

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