allacciate le cintureÈ tornato Ferzan Ozpetek, con un titolo che sembra quasi una risposta a “Gli amanti passeggeri” di Almodóvar. Pur nella somiglianza delle atmosfere, tuttavia, l’opera del turco di Testaccio ha una marcata individualità nel modo in cui propone emozioni forti con venature di elegante malinconia, sottolineate dalle musiche sempre appropriate di Pasquale Catalano.

Per tutti i centodieci minuti del film il vibrare delle passioni avvince lo spettatore, e pazienza per qualche sbavatura di sceneggiatura o di recitazione – del resto, come ha dichiarato Ozpetek, i suoi attori sono chiamati ad esprimere istinto, verace passione, sensualità e non certo perfezione formale nell’interpretare ruoli e situazioni che lo stesso regista ama modificare in corso di lavorazione sul set. Su tutti il protagonista maschile, Francesco Arca, già “tronista” (perdonate la volgarità) televisivo, prima scelto per la sua fisicità e poi scoperto anche talentuoso attore.

“Allacciate le cinture” è un grande film corale, con eccellenti interpreti magistralmente orchestrati da Ozpetek, che ne dosa alla perfezione tempi e interventi, toccando tutte le corde dei sentimenti umani. Una scintillante Kasia Smutniak offre una notevole prova nel ruolo di una donna prima giovane e poi matura, che si trova ad affrontare una terribile malattia proprio all’apice del suo percorso di vita – e qui è ammirevole la misura del regista nel raccontare l’ordinario calvario di chi soffre su un lettino d’ospedale. Il giovane Filippo Scicchitano sfodera una sicurezza da attore consumato nel vestire i panni dell’amico e confidente premuroso e attento, mai melenso.

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Tuttavia, sono i meno fascinosi personaggi femminili a far “decollare” il film: la strepitosa coppia formata da Elena Sofia Ricci, la zia svitata , e Carla Signoris, la madre saggia, fa scintille, dando vita ad una sequela di esilaranti scaramucce tra sorelle mai così diverse eppure così legate, mentre il personaggio di una formidabile Paola Minaccioni è qualcosa di molto più della paziente oncologica più credibile che si sia vista sullo schermo da molto tempo in qua.

Un lavoro sugli attori notevole, quello di Ferzan Ozpetek, giunto sino ad interrompere le riprese per un mese allo scopo di far perdere o prendere chili ora all’uno, ora all’altro dei suoi interpreti, assoggettati ad un regime alimentare da ottovolante…

Il risultato finale ci consegna una solida pellicola italiana, girata in una Puglia solare a dispetto della sequenza iniziale, in cui un lungo carrello segue la pioggia battente sulla strada fino a raggiungere un gruppo di passeggeri in attesa del bus sotto l’esigua pensilina, a simboleggiare i nostri patetici tentativi di trovare riparo dalle avversità della vita. In qualche caso coronati da successo, ma solo con l’aiuto – è la filosofia ozpetekiana – di un solido gruppo di persone intorno, in grado di sorreggerti con il loro affetto a prescindere dall’orientamento sessuale, dall’estrazione sociale, dalle inclinazioni le più stravaganti.

La divina Kasia Smutniak
La divina Kasia Smutniak

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