La grande bellezza di Paolo Sorrentino, Oscar 2014 come Miglior Film Straniero

[Nota del Caporedattore: questo pezzo, acuto e visionario, è stato scritto ben prima che il film di Paolo Sorrentino venisse candidato agli Oscar per l’Italia e vincesse come Miglior Film Straniero, a quindici anni dalle tre statuette conquistate da La vita è bella. A quanto pare, “bella” fa rima con “Italia” ed il nostro Raffaele ha la vista lunga.]

La grande bellezza è un film? La grande bellezza è solo un film? E se La grande bellezza è qualcosa oltre un film, strettamente un film, che cos’è? Un esperienza sensoriale ed intellettuale? Un trip visionario e lisergico? La Reincarnazione de La dolce vita? La libera Caduta dal Romance alla Satira di un’intera Umanità, la scientifica registrazione dell’urlo del vento ed il tonfo dell’impatto di questo interno girone infernale sul duro eppur accogliente eterno suolo capitolino? La grande bellezza non può essere giudicato, valutato, parametrato con gli usuali strumenti di misurazione della media cinematografica, italiana in particolare.

E’ un monolite esterno, alieno, di un materiale ancora non riconosciuto, una gigante nera o una nana bianca i cui confini sfibbrano malamente oltre il taglio cesareo dell’inizio e della fine del film. Perché poi, comunque, quest’oggetto altro è forzatamente inserito in un bossolo che ne deve contenere tutta la polvere pirica pronta ad esplodere nuovamente ad ogni proiezione. E quel bossolo potrà essere più o meno grande, avere una deflagrazione semplice o a grappolo, ma dovrà sempre rispondere ad una fruibile forma filmica. Eppure La grande bellezza è più di un film, è un ambiente in cui calarsi, da esplorare, da subire nell’intontimento di qualche droga sintetica ed aerea di cui sicuramente è saturo, è un Mondo che alla fine delle più di due ore di esperienza, potrà anche averti annoiato ma di cui sarai sicuro che non ne hai esplorato che una minima parte. Ho sentito di molte persone che l’hanno già rivisto, io stesso ne ho intenzione.

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Un film inperfetto, che non riesce a chiudersi, che subisce un’eccessiva sudditanza psicologica verso Fellini ed, in particolare, verso La dolce vita. Eppure un film che non si chiude mai, che non finisce mai, che abbandona lo spettatore, appena finito, ad uno struggente Mal d’Africa per le immagini appena lasciate, nella speranza e nella volontà di rincontrarle, di riassumerle come una droga allucinogena. La Rete esonda di critiche, riflessioni, condanne o esaltazioni de La grande bellezza, probabilmente nella dialettica recerche dell’immagine perduta, tentativo di ricordare che Sorrentino attua in ogni inquadratura, in ogni battuta, alternando sogno metafisico a delirio barocco. L’immagine non si forma, non riemerge dal nero fondo della memoria personale e collettiva, ma il film riesce ad essere come un’ostensione, una Sindone cinematografica che reca comunque tracce di questo imperscrutabile Mistero.

La grande bellezza è un miraggio satanico per generare Kaos in chi lo guarda, nell’irrefrenabile fregola di ridurre a comprensione una Monade caleidoscopica, eppure riflettente ed impenetrabile. Un numero primo, un Film Primo alfine irriducibile ed incomprensibile. La grande bellezza è un oggetto così travolgente, affascinante, costantemente variante, policromo, semplicemente perché è un prisma di specchi che riflette la vita che gli gira, che si staglia intorno. E noi spettatori, credendo di vedere un film, rivediamo noi stessi ridotti a personaggi, a figure pittoriche, cinematografiche, parte di un racconto che altro non è  che la nostra vita. Ed il desiderio strano, inquietante, di voler prima possibile rivedere il film, è proprio per conoscere il seguito, il destino delle nostre vite. La grande bellezza è uno prisma specchiante infisso al centro di Roma, è una creatura parassitaria che ha preso in prestito la forma, l’organismo ospitante del capolavoro felliniano per inoculare il suo splendido e maledetto sortilegio negli spettatori contemporanei. Ma non è una novità. Sono esistiti altri film, altre opere artistiche, irriducibili a decifrazione, che continuano a proporre domande sibilline sempre diverse, che mandano in corto circuito i nostri umani limiti.

La Sindrome di Stendhal che colpisce il visitatore de La grande bellezza diviene anche Sindrome di Stoccolma verso quelle malìe visive che ci imprigionano nel tentativo di darne un Significato che non sia solo Significante. Film, da Il Casanova di Fellini a 2001 Odissea nello spazio, ad esempio, per i quali, la continua re-visione ne amplifica le aperture di Senso, le moltiplica, le riflette all’Infinito senza risolverle. Il cinema italiano, in particolare, proponeva più frequentemente queste epifanìe catartiche per il pubblico. Ora, l’effetto antropologicamente rivelatore e shockante de La grande bellezza risulta ancor più amplificato dalla generale medietà del nostro cinema. La grande bellezza è un proiettile sparato in Alto, verso le altezze siderali dei Cerchi Mobili ed anche più su. Ovviamente il proiettile non arriverà a destinazione, il corso balistico devierà verso chissà dove ma, intanto, Sorrentino, ci ha costretti ad inchiodare lo sguardo verso la volta celeste. Per due ore, fino a vedere La grande bellezza scomparire nell’Infinito e poi ancora, attendendo una risposta da Dio.