Nuovo tassello della saga dei Vendicatori e prodromo, insieme a Thor – The Dark World e Iron Man 3, del prossimo film collettivo (The Avengers – Age Of Ultron), Capitan America – Il soldato d’inverno segna il definitivo passaggio del mondo Marvel a dinamiche, sia produttive che testuali, molto più vicine a quelle della lunga serialità televisiva che non all’universo cinematografico. Una volta svincolato dalla responsabilità di narrare le origini del supereroe in questione (vera piaga della maggior parte dei “capitoli uno” appartenenti a questo filone), il film infatti parte senza indugi calandoci nel bel mezzo dell’azione.
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Non c’è spazio qui per gli spiegoni o per un’eccessiva introspezione psicologica e qualsiasi riferimento metatestuale – meccanismo tipico di tutta la drammaturgia che prende le mosse dal mondo dei fumetti – viene risolto con rapidissimi flashback che chiariscono senza però mai rallentare il perfetto fluire della visione.
La stessa scelta dei registi è chiaro indice di una volontà produttiva tesa a spogliare la serie degli iniziali intenti autoriali che hanno portato, ad esempio, alla scelta di un regista come Kenneth Branagh per il primo Thor e che pongono questo secondo Captain America lontano anni luce sia dal cupo tormento del Batman di Christopher Nolan (ma in quel caso siamo davvero su un altro pianeta) che dal fiato corto de L’uomo d’acciaio di Zack Snyder.
Nelle mani dei fratelli Russo (Welcome To Collinwood, Tu, io e Dupree) – autori magari privi di uno spiccato stile registico, ma forse proprio per questo maggiormente funzionali all’intrattenimento puro – le gesta del supereroe più patriottico e meno glamour del catalogo Marvel, non ambiscono ad essere nulla di più di quanto di quanto non ci sia da aspettarsi da un film della Marvel.
C’è qualcosa di estremamente rassicurante nella prevedibilità di questi film che, se da una parte non riserva particolari scossoni emotivi, dall’altra li fa assomigliare a certi incontri con quei vecchi amici che, seppure di rado forieri di novità rilevanti, sappiamo non ci annoieranno mai. E che, per questo, sono quasi incapaci di deludere le aspettative di un pubblico che, in buona sostanza, chiede spettacolo.
E qui lo spettacolo – complice un 3D più azzeccato che altrove – è di altissimo livello.
A voler essere severi (e anche un po’ guastafeste), si potrebbe lamentare anche qui, come nel caso di Thor, una certa inespressività del protagonista (molto più convincente, ad esempio, nel recente e bellissimo Snowpiercer) ma non è tanto un problema di Chris Evans – come non lo era di Chris Hemsworth in Thor – quanto di un’effettiva unidimensionalità di personaggi che, già sulla carta, non presentano né le tracce del dissidio interiore di Bruce Wayne né il carisma fuori dall’ordinario di Tony Stark.
Conviene invece godersi il film, beandosi di quanto sembrino lontani i tempi in cui vedere un supereroe al cinema poteva anche significare imbattersi nel catatonico Devil interpretato da Ben Affleck o, peggio, negli orridi B-movie dedicati al Punitore.
P.S: Come è ormai prassi quando si tratta di un film Marvel, l’imperativo categorico è sempre il solito: non abbandonare la sala prima della fine dei titoli di coda!
[Thanks, Movielicious!]
[…] di siparietti comici utili a rendere un po’ più umana la figura del figlio di Odino. In Capitan America, poi, la dimensione sentimentale è addirittura […]