Ethan Renner (Kevin Costner) è un uomo arrivato stanco alla soglia dei sessant’anni, con una vita disastrata fatta di pochi affetti, un divorzio e una figlia in piena crisi adolescenziale che di lui quasi non vuole saperne. Quando gli viene diagnosticato un male incurabile, per Ethan è dunque quasi naturale ritirarsi dal lavoro e cercare di recuperare qualche brandello di rapporto con la propria famiglia. Il problema è che Ethan non fa un lavoro normale. E’ un agente dei Servizi Segreti a cui, in cambio di un’ultima pericolosissima missione, viene offerta una cura sperimentale che potrebbe salvargli la vita. Si troverà quindi, aiutato solo da una misteriosa e seducente dark lady (Amber Heard), a dover scovare e uccidere uno dei più ricercati terroristi al mondo proprio in quegli stessi tre giorni in cui l’ex moglie (Connie Nielsen) lo lascia solo a tenere a bada le turbolenze della loro giovane figlia.
Il regista McG (Charlie’s Angels, Terminator Salvation) stempera il proprio stile muscolare in questo atipico crossover di action, melò e commedia scritto e prodotto da Luc Besson e ambientato in una Parigi livida e molto meno oleografica del solito. Il punto di riferimento primario di 3 Days To Kill resta senz’altro True Lies di James Cameron, vera punta di diamante di tutto quel sottogenere di film d’azione (molto in voga negli anni 90 in verità) in cui la tensione viene intervallata da elementi comedy assicurati, da un lato, dalla contrapposizione tra il ruolo di duro del protagonista (Stallone e Schwarzenegger, smaltiti gli steroidi dell’era reaganiana, hanno costruito buona parte della seconda fase delle loro carriere soprattutto su personaggi di questo tipo) e la sua goffaggine in ambito familiare o domestico e, dall’altro, dai rocamboleschi escamotage studiati perché il piano lavorativo e quello affettivo non entrino mai in collisione tra loro.
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In altre parole, Die Hard.
In questo, la mano di Besson, regista poliedrico anche se discontinuo e da sempre votato alla commistione di generi, si avverte in maniera piuttosto forte, sia per quanto riguarda i pregi che per i difetti che costellano la visione del film.
Se infatti è difficile non apprezzare l’umorismo politicamente scorretto che abita scene in cui il protagonista informa telefonicamente la figlia che farà tardi a cena mentre è impegnato a torturare un “cattivo”, c’è da registrare come l’amalgama tra i diversi registri non risulti sempre così fluida e priva d’intoppi come si vorrebbe.
Il film nel complesso però ha dalla sua più “pro” che “contro”: uno su tutti, un redivivo Kevin Costner (che ci piacerebbe non aver mai visto offrire del tonno a una corte di casalinghe in estasi in uno spot che ultimamente gira molto in TV), che indossa questo ruolo di loser cinico e stropicciato con estrema intelligenza e autoironia, ricordandoci di essere un attore molto più versatile di quanto i troppi ruoli da macho monocorde del passato non testimonino.
Piaccion, inoltre, di 3 Days To Kill, i suoi nostalgici richiami a quel cinema di puro mestiere che sembra non esistere più; un cinema quasi del tutto privo di spinte autoriali “alte” perché esclusivamente teso a intrattenere, ormai soppiantato sul versante action dalle saghe e dai blockbuster in franchising e, sul piano della leggerezza, dalle commedie stricto sensu.
E’ proprio al classico cinema americano fatto da solidi artigiani come John McTiernan, Renny Harlin e il compianto Tony Scott – in definitiva l’ultimo cinema classico possibile – che McG e Besson sembrano rifarsi maggiormente.
Con l’unica colpa, semmai, di citarlo troppo e reinventarlo poco.
Lo spettacolo e il divertimento però sono garantiti.
[Thanks, Movielicious!]
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