Lo stesso virus che ha causato la nascita di una specie di scimmie evolute, dopo dieci anni appena, ha causato l’estinzione di quasi tutto il genere umano. Una colonia di sopravvissuti, evidentemente immuni al contagio, cerca di adattarsi ai cambiamenti intercorsi in questo lasso di tempo, nella speranza che anche altri, nel mondo, siano sopravvissuti alla pandemia.

Quando una spedizione di pochi uomini si avventura nella foresta alla ricerca di una diga che consenta loro il ripristino dell’energia elettrica, scopre che le scimmie, dopo la rivolta di San Francisco che chiudeva L’alba del pianeta delle scimmie, si sono ulteriormente sviluppate fino ad organizzarsi in una comunità sottoposta a rigide regole dove vivono in pace, sotto la guida di Cesare (Andy Serkis), nella convinzione che il genere umano sia ormai soltanto un ricordo.

L’incontro/scontro è subito fonte di incomprensioni e paure tra le due specie, con il formarsi di due fazioni antitetiche all’interno della colonia umana: da un lato Malcolm (Jason Clarke), fermamente convinto che sia possibile trovare una via pacifica per la reciproca convivenza e dall’altro il bellicoso Dreyfus (Gary Oldman) che intravede nella guerra l’unica possibile soluzione.

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Allo stesso modo, nella comunità delle scimmie, si consuma un acceso scontro per il potere tra l’autorità consolidata di Cesare e il dissidente Koba, infastidito dall’eccessiva morbidezza del leader nei confronti degli uomini. Nonostante gli sforzi in direzione contraria, ben presto appare evidente come il conflitto sia qualcosa di inevitabile.

Matt Reeves (Cloverfield, Blood Story) prende in mano le redini di questo sequel del pregevole film del 2011 e traghetta la saga verso quello che sarà il suo terzo e inevitabilmente prossimo capitolo.

Una volta spogliata la pellicola della presenza di star – per chi scrive in realtà Gary Oldman è molto più che una star ma onestamente non credo possa avere, presso il target di riferimento, lo stesso appeal di un James Franco – il regista mette subito in chiaro che gli effettivi  protagonisti della storia non sono i sopravvissuti, bensì le scimmie. Sin dal potentissimo prologo muto della scena di caccia in cui si attesta, procedendo per accumulo di elementi successivi, del loro raggiunto livello di sviluppo e di organizzazione interna al gruppo, in totale antitesi col caos che sembra regnare all’interno della colonia umana.

Pianeta delle scimmie_revolution

E’ un punto di vista interessante perché permette all’autore di costruire, attorno al più classico dei canovacci western e cioè quello che vede la contrapposizione tra cowboy e indiani, la storia di una guerra tra poveri, in cui possiamo anche sapere chi vincerà (per quanto non sarei così sicuro che qualsiasi adolescente di oggi abbia visto Il pianeta delle scimmie originale, quello diretto da Franlklin J. Shaffner nel ‘68;  al limite forse il poco riuscito remake del 2001 di Tim Burton) ma non è mai perfettamente chiaro chi siano gli invasori e chi le vittime. Se infatti il virus che ha eliminato quasi ogni traccia di vita umana dalla terra scaturiva dalla sperimentazione degli uomini sulle scimmie per la ricerca di una cura dell’Alzheimer, il reale virus di cui parla il film è quello della guerra e, più in generale, della violenza. Un virus che si insidia tra le pieghe della comunità dei primati con velocità inaudita, immediatamente dopo il primo contatto tra questi e gli uomini.

Apes-revolution-immagine-performance-capture

Seppur contraddistinto da una scrittura lineare ed a tratti (anche troppo) classica, Apes Revolution è un film godibilissimo e per nulla scontato. Senza volerci soffermare troppo sulla perfezione tecnica ormai raggiunta dal motion capture (la gamma espressiva che Andy Serkis riesce a regalare al suo Cesare è davvero stupefacente) che, in prodotti del genere, sarebbe anche il caso di cominciare a dare per scontata, il film è un riuscitissimo e fluido patchwork di generi (si va dal succitato western alla fantascienza postapocalittica passando per l’accorato apologo sociale) costellato da alcune scene di notevole impatto. Una su tutte quella iniziale che, giustapponendo alla ripresa di una rotazione del globo terrestre un apocalittico cut-up di notizie sulla pandemia, riesce a coprire l’arco temporale tra il primo film e questo in appena una manciata di minuti. Per chiudere poi sul bellissimo primo piano finale di Cesare/Serkis da cui traspare tutta la sua (umana) rassegnazione di fronte alla certezza di quanto sta per accadere. Come già il suo predecessore, anche Apes Revolution rappresenta dunque un riuscito tentativo di costruire un blockbuster attorno a un’idea che non contempli esclusivamente l’esplosione reiterata di grattacieli.

E questo, al netto di un’idea comunque non originale, non è affatto poco.

[Thanks, Movielicious!]

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