Va al serbo No One’s Child di Vuk Ršumović la Settimana Internazionale della Critica 2014. La storia di un ragazzo selvaggio e del suo inserimento nella società juvoslava poco prima dello scoppio della guerra nei Balcani.

Uomini e lupi

Nella primavera del 1988, fra le montagne della Bosnia, viene ritrovato un bambino cresciuto fra i lupi. Gli viene dato il nome di Haris e viene inviato in Serbia, all’orfanotrofio di Belgrado, dove è affidato alle cure di Ilke. Qui diventa amico inseparabile del piccolo Žika e, col tempo, impara a pronunciare le sue prime parole. Ma nel 1992, nel pieno della guerra, le autorità locali lo costringono a tornare in Bosnia, dove viene armato di fucile e spedito al fronte. E una notte, per la prima volta nella sua vita, il ragazzo prende una decisione tutta sua…

Il regista serbo Vuk Ršumović ha presentato alla Settimana Internazionale della Critica la sua opera prima: una bruciante rilettura, metaforica quanto approfondita, del conflitto nella ex-Yugoslavia.

Bambini e guerra non sono un argomento alla portata di tutti, ne sa qualcosa, ad esempio, Michel Hazanavicious, che dopo aver intascato l’Oscar con The Artist, ha decisamente alzato il tiro, portando all’ultimo Festival di Cannes, con The Search, un roboante melodramma bellico ambientato durante la seconda guerra in Cecenia, con tanto di bambini perduti poi miracolosamente ritrovati e una struttura narrativa la cui ardita elaborazione mal si accorda alla durezza degli eventi in esame.

Utilizza tutt’altro approccio e va incontro a ben altri risultati il regista serbo Vuk Ršumović che con la sua opera prima, No One’s Child (Ničije dete), riesce a proporre una rilettura realistica, personale e al tempo stesso metaforica di una guerra che conosce assai bene, ovvero il conflitto nella ex-Yugoslavia. No One’s Child parte dal rinvenimento casuale di un “enfant sauvage” nei boschi della Bosnia (il piccolo protagonista, proprio come quello del celebre film di Truffaut viene trovato da un gruppo di cacciatori), prosegue poi seguendo le tappe di un racconto di formazione (il trasferimento in un istituto di Belgrado e l’amicizia prima con un coetaneo poi con un insegnante), infine cesella il suo portato drammatico e simbolico, mentre infuria il conflitto balcanico.

Centro del film è la questione dell’identità: umana, sociale ed etnica. Il nostro selvatico protagonista, cresciuto tra i lupi nella wilderness, sui suoi primi documenti si ritroverà con un nome imposto da una bigia burocrate, Haris Puckeck, e una sola, apparente certezza: nazionalità yugoslava. Ma siamo nel 1988 e di lì a poco questi due dati anagrafici diverranno determinanti: il primo, finirà per decidere del suo destino, il secondo, invece, si sgretolerà così come un’intera federazione, in seguito al crollo del regime comunista e ai conflitti che questo evento farà esplodere. Il dissidio al centro di No One’s Child infatti, non è tra natura e cultura, bensì tra identità naturale e identità etnica, tra la wilderness lussureggiante e quella di un focolaio di conflitti etnico-religiosi pronti a deflagrare. Paradossalmente (ma non troppo) dunque, il percorso di crescita di Pućke verso le regole e il linguaggio della così detta civiltà, assume il valore di una “mala educazione”, guadagnata attraverso l’abbandono delle regole del vivere secondo natura per abbracciare le ben più spietate e ingiuste leggi umane.

Vuk Ršumović ci immerge nel percorso del protagonista facendone una sorta di esperienza sensoriale, galvanizzata da una macchina da presa spesso ondeggiante e da numerosi dettagli per nulla casuali, illuminati da una notevole plasticità estetica. Si tratta di scelte registiche che accompagnano perfettamente la graduale de-formazione di Pucke, contribuendo a creare una forte tensione emotiva e amplificando l’imprevedibilità delle azioni del personaggio, il cui mistero pare sempre sul punto di scardinare le maglie di una narrazione apparentemente classica.
No One’s Child infatti, pur sposando nell’insieme lo schema classico del bildungsroman, si muove proprio sul confine tra classicità e singolarità della propria metafora sulla guerra, le cui ragioni non sono affatto “naturali” e persino ad un branco di lupi apparirebbero del tutto incomprensibili.

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Il Premio del Pubblico RaroVideo al miglior film della 29. Settimana Internazionale della Critica, nell’ambito della settantunesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è stato assegnato al film No One’s Child (Ničije dete) di Vuk Ršumović ed è stato ritirato dal regista in persona.

Resi noti, a mezzo stampa, anche i due premi decisi e assegnati dalla giuria della FEDEORA (Federazione dei Critici Europei dei Paesi Euromediterranei). La giuria, che per l’edizione 2014 della SIC è stata composta da Nenad Dukic, Ninos Mikelides, Dubravka Lakic, Eva Af Geijerestam e Matic Majcen, ha attribuito ai film della Settimana Internazionale della Critica un premio per la migliore sceneggiatura e un secondo premio (principale) per il miglior film selezionato all’interno della sezione. Il verdetto è stato il seguente:

Miglior Sceneggiatore: Vuk Ršumović per il film Ničije dete – No One’s Child

Miglior Film: Đập cánh giữa không trung – Flapping in the Middle of Nowhere di Nguyễn Hoàng Điệp

[Thank you, Quinlan!]

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