Col suo ultimo lungometraggio, Si alza il vento, giunto alla fine di un percorso artistico iniziato nel 1963, Hayao Miyazaki sceglie di raccontarci direttamente la realtà, di raccontare se stesso, le origini dei suoi sogni, il Giappone. In concorso alla 70a Mostra del Cinema di Venezia.

Le nuvole e poi…

Jiro sogna di volare e di progettare splendidi aeroplani, ispirati dal famoso ingegnere aeronautico italiano Caproni. Miope dalla più tenera età e quindi impossibilitato a diventare pilota, Jiro entra a far parte della divisione aeronautica di un’importante industria meccanica giapponese nel 1927. Il suo genio viene presto riconosciuto e il protagonista giunge a diventare uno dei migliori ingegneri aeronautici del mondo… [sinossi – labiennale.org]

Le vent se lève!
…il faut tenter de vivre!

Iniziano quasi sempre dall’alto, dal cielo, dall’azzurro limpido e rassicurante le opere di Miyazaki. Si rifugia tra le nuvole col suo mehve Nausicaä, la principessa della Valle del Vento; sale su una scopa traballante e si avventura nel cielo notturno la streghetta Kiki; sfreccia sopra l’Adriatico per una nuova missione il protagonista di Porco Rosso. Il cielo come luogo altro rispetto alla Terra, lontano dalla barbarie degli uomini, immerso in un silenzio poetico. Il cielo come teatro di evoluzioni e traiettorie eleganti, luogo ideale per le passioni del cofondatore dello Studio Ghibli: gli aerei e il volo.

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Verso l’alto, allontanandosi sempre di più dal nostro martoriato pianeta, si spingeva l’isola fluttuante nel finale di Laputa. Nell’incipit della serie Conan, il ragazzo del futuro scoprivamo l’Isola Perduta dopo aver attraversato le nuvole. Nel cielo e dal cielo Miyazaki ha sempre immaginato nuovi mondi ideali, finalmente caratterizzati da una coabitazione pacifica tra gli uomini – e tra gli uomini e la natura, altro tassello fondamentale della poetica miyazakiana. Un cinema sinceramente pacifista, schierato politicamente, intriso di un ecologismo dai riflessi spirituali, attraversato da una forza visionaria fertile e inarrestabile.

Miyazaki, ancor prima di essere sulla bocca di tutti per La città incantata e i tanti riconoscimenti, era già entrato nella storia del cinema, aveva già segnato l’immaginario di intere generazioni e, soprattutto, aveva messo in scena l’orrore dei conflitti bellici, la distruzione globale, la sofferenza. Erano però scenari di mondi alternativi, futuribili ma immersi in una dimensione fantascientifica o fantasy, come i post-apocalittici Nausicaä della valle del Vento e Conan, il ragazzo del futuro. O erano guerre che riaffioravano nei ricordi, mitigate dallo spirito avventuroso e comico, come in Porco Rosso.

Questa volta, giunto alla fine di un percorso artistico iniziato nel 1963, Miyazaki sceglie di raccontarci direttamente la realtà, di raccontare se stesso, le origini dei suoi sogni, il Giappone. Una narrazione spogliata dai filtri e dalle creature fantastiche, un realismo quasi spiazzante, così delicato da ricordare il cinema di Yasujirō Ozu. Si alza il vento (Kaze tachinu) sembra un film di Isao Takahata, una sorta di prequel de Una tomba per le lucciole, in cui il cielo non è più una via di fuga ma si tinge di sangue e annienta un’intera generazione. Non ci sono più luoghi ideali, come Hyarbor o Colico o la campagna anni Cinquanta di Totoro, non c’è spazio per rielaborazioni, metafore o per interventi messianici à la Nausicaä. Ci si può rifugiare solo nei sogni, chiudendosi in un bozzolo che non resterà comunque impermeabile: in questo senso, è emblematica la sequenza d’apertura, ancora una volta in cielo, in volo, col sogno del giovane Jirō che si trasforma in incubo, col dirigibile nazista e le bombe cavalcate da mostri oscuri.

Si alza il vento è l’altra parte dello specchio, è l’inevitabile passo successivo dopo il dittico Nausicaä/Mononoke. È il capitolo finale, forse l’unico congedo possibile venticinque anni dopo Totoro/Una tomba per le lucciole, con la scambio di ruoli tra Miyazaki e Isao Takahata [1]. È il film che ci lascerà per sempre un groppo in gola, l’amara sensazione di essere bruscamente tornati coi piedi per terra. È la prima, e purtroppo ultima, storia d’amore portata sullo schermo dal “dio degli anime”: i legami adolescenziali de I sospiri del mio cuore – Mimi wo sumaseba (1995) e La collina dei papaveri (2011) sono stati il banco di prova per il compianto Yoshifumi Kondō e per Goro Miyazaki, mentre le relazioni di Mononoke e Howl restavano in secondo piano, appena accennate.
Miyazaki sembra quasi volerci spiegare la genesi del proprio universo immaginifico, con gli avvenimenti, le persone e i luoghi che hanno influenzato e plasmato la sua arte. Ritroviamo la tubercolosi (che aveva costretto a lunghi anni in ospedale la madre di Miyazaki, spunto autobiografico in Totoro), la profonda ammirazione per il lavoro dell’ingegnere aeronautico Giovanni Battista Caproni, il terremoto di Kanto del 1923 (così simile per impatto distruttivo alle grandi onde di Conan, Nausicaä e Mononoke), l’ostinazione e la forza visionaria di Jirō, la campagna nipponica. Ritroviamo le guerre e le battaglie aeree, ma senza il ritorno dei giovani eroi vincitori. Non c’è spazio per la leggerezza del mehve, per lo spettacolare bombardiere Gigante di Conan, per il Savoia S-21, il Curtis R3C-O, il Dabohaze, il Savoia Marchetti S55 e tutti gli altri idrovolanti di Porco Rosso, per i flaptor di Laputa, per l’aereo a forma di pterodattilo della serie Il fiuto di Sherlock Holmes, per l’hangar nostalgico di Lupin III [2]. Non c’è spazio per il lieto fine, per le esplosioni di gioia de Il castello errante di Howl, per la pace riconquistata di Conan: le suggestioni drammatiche che adombravano Porco Rosso si allargano a macchia d’olio. In Si alza il vento il vento ci porta via tutto, mostrandoci lo scotto di un sogno ostinato, della realizzazione di un aereo fenomenale, purtroppo letale.

Soffia il vento, ma non per il passaggio di un Gattobus invisibile. Consapevoli, cerchiamo anche dopo la visione dei luoghi rifugio, degli angoli incontaminati. Miyazaki ci concede la “montagna incantata”, l’oasi felice che riecheggia Thomas Mann e che vede finalmente sbocciare l’amore tra Jirō e Nahozo. Fanciulla fragile, bellissima, pronta a sacrificarsi per il bene e il successo di Jirō, Nahozo ricorda da vicino le eroine tragiche di Kenji Mizoguchi. La parentela con Lana, Sheeta o Sophie è soprattutto grafica, legata a un character design che nel corso degli anni si è assottigliato, aggiornando le celebri linee chiare e morbide che avevano caratterizzato il periodo d’oro del World Masterpiece Theater e le prime pellicole dello Studio Ghibli [3].

Della confezione tecnico-artistica sarebbe quasi superfluo scrivere, ma ci soffermiamo un attimo sulla qualità dei fondali, soprattutto i paesaggi, meno dettagliati rispetto alle vette fotorealistiche raggiunte in opere precedenti – ad eccezione dello splendido bosco che ospita il primo vis-à-vis amoroso tra Jirō e Nahozo, con cromatismi e tagli di luce che rimandano alla foresta di Mononoke. Ovviamente certosino il lavoro sul mecha design degli aerei e di qualsiasi altro mezzo di trasporto, mentre ha un notevole impatto visivo ed emozionale la sequenza del terremoto.
Accompagnato dalle note di Joe Hisaishi, Si alza il vento è un addio, un regalo prezioso, un’opera stratificata e complessa su cui tornare. Da rivedere, ripensare, metabolizzare lentamente. Un film doloroso che ripercorre gli errori e le tragedie degli anni Trenta e Quaranta, che conclude qualsiasi discorso sulla filmografia miyazakiana, che ragiona sulla creatività e sui suoi pericoli, sul sacrificio e sulla rinuncia, sui sogni e sull’amore. Sulla realtà, sulla natura autodistruttiva dell’uomo. Come tante altre volte, Si alza il vento è un capolavoro. Con un finale sublime e straziante. La fine, il vento, la vita.

NOTE
1. Si alza il vento doveva uscire insieme a The Tale of Princess Kaguya, diretto da Takahata e in uscita a fine novembre. Lo slittamento della data d’uscita è dovuto ai ritardi sulla preparazione degli storyboard.
2. L’episodio de Il fiuto di Sherlock Holmes, serie prodotta dalla Rai e poi dimenticata in un cassetto, è La piccole cliente. Nell’ultimo episodio della serie di Lupin III del 1971, Antiche monete d’oro, il simpatico ladro mostra ai suoi amici una sorta di museo di famiglia traboccante aerei d’epoca.
3. Il World Masterpiece Theater (Sekai meisaku gekijō) è una serie di anime prodotti a partire dagli anni Settanta. Tra i titoli più noti Heidi (1974), Marco (1976) e Anna dai capelli rossi (1979), serie nate dalla collaborazione tra Takahata e Miyazaki. La scheda del WMT su animenewsnetwork.com.

 

[Thank you so much for this amazing article, Quinlan!]

 

Universo di Hayao Miyazaki

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