“Sono le persone che nessuno immagina possano fare certe cose che fanno cose che nessuno può immaginare”. In questa citazione che viene sottolineata un paio di volte dal protagonista di The Imitation Game (vincitore del Toronto International Film Festival e nelle sale italiane dal primo gennaio 2015), risiede il senso della biografia per immagini dedicata ad Alan Turing, un uomo straordinario e complicato, insigne matematico e biologo, crittoanalista e logico, figura paradigmatica nel campo dell’intelligenza artificiale, pioniere della moderna informatica, nonché artefice dell’ideazione di tecniche e diagrammi per svelare il meccanismo dei cifrari tedeschi durante il secondo conflitto mondiale.
Il dramma storico diretto dal norvegese Morten Tyldum (Buddy, Headhunters), e tratto dal romanzo di Andrew Hodges Alan Turing. Storia di un enigma, presenta diversi aspetti che non esagereremmo a definire incredibili. La vicenda viene narrata mediante un intreccio che comprende tre trame parallele e distinte, ma abilmente incastrate tra loro da un montaggio preciso come un cronografo svizzero. La prima (1927) descrive gli anni dell’adolescenza e della formazione sentimentale di Turing (Benedict Cumberbatch), presso la Sherborne School, nel Dorset (Inghilterra sud-occidentale), la sua timidezza e la sua congenita “stranezza”, l’ottima educazione ricevuta dalla famiglia e l’eccellenza del rendimento scolastico, gli atti di bullismo subiti e il conforto di Christopher, l’amico che lo inizia alla crittografia, e con il quale stabilirà un profondo legame affettivo interrotto improvvisamente dalla morte di questo per una grave malattia.
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L’ordito centrale, invece, rappresenta il cuore della storia ed è ambientato durante la guerra (1939-1945), perlopiù a Bletchley Park, 75 km a nord-ovest di Londra, presso la villa vittoriana fortificata sito dell’unità principale di crittoanalisi del Regno Unito. Fresco della laurea a Cambridge, il brillantissimo matematico desidera cimentarsi in una missione decisamente impossibile: decifrare i misteri di Enigma, l’inviolabile macchina dei codici delle forze armate naziste. A tal fine viene presentato al comandante navale Alastair Denniston (Charles Dance), al quale non va proprio a genio. Tuttavia, dopo un certo periodo di rodaggio, e l’intervento favorevole di Winston Churchill in persona, Turing si trova a dirigere la più efficiente ed eclettica squadra di “cervelli” della Gran Bretagna, composta da matematici, linguisti e perfino da un carismatico campione di scacchi, Hugh Alexander (Matthew Goode). A tale formazione verrà associata – più o meno clandestinamente – la studiosa Joan Clarke (Keira Knightley), unica donna del team. Perfino l’influente Stewart Menzies (Mark Strong), capo dell’appena formata Agenzia di Spionaggio MI6, lo agevolerà nell’ardito e dispendioso progetto che ha l’ambizione di rovesciare le sorti del conflitto e salvare milioni di esseri umani.
Così, lottando contro il tempo, contro pressioni e difficoltà d’ogni tipo, Turing e i suoi lavorano ossessivamente a una complessa macchina elettro-meccanica di decrittazione che verrà battezzata Christopher. Nel contempo i suggestivi documentari di repertorio della seconda guerra mondiale s’intersecano alla storia, che assume le caratteristiche del thriller e della spy-story, del film storico quanto del dramma psicologico. Alla fine, dopo diversi colpi di scena, il Codice Enigma verrà svelato; comunque, la stessa gestione delle notizie sarà prudentemente condizionata per non offrire ai nemici la ragione per sostituirlo. Ciononostante, il vantaggio acquisito accorcerà sensibilmente la durata delle ostilità con un evidente risparmio di vite umane stimabile addirittura in una decina di milioni di persone!
La terza parte del racconto si svolge a Manchester nel 1952, dove Turing, tornato all’attività accademica e alla ricerca, ha stabilito la sua residenza. Il detective Robert Nock (Rory Kinnear), a seguito della segnalazione di un furto nell’abitazione dello studioso, nutre il sospetto che egli possa essere coinvolto in un affare di spionaggio a favore dei sovietici. Ma la polizia, interrompendone l’indagine, arresta l’eccentrico scienziato per oscenità, e così l’investigatore che lo interroga in cella ne scopre la vera storia costituita dai flashback delle due parti precedentemente dette. Alan Turing verrà condannato a due anni di reclusione, pena convertita in libertà condizionata dall’assunzione di estrogeni sintetici, una terapia che lo porterà, dopo indicibili sofferenze, alla “castrazione chimica”. Offuscato dai farmaci e annichilito nel morale, e nonostante il conforto di Joan Clarke e del lavoro sulla cosiddetta “Macchina di Turing” il prodigioso talento britannico decide di togliersi la vita col cianuro, il 7 giugno del 1954, a pochi giorni dal quarantaduesimo compleanno.
Ha così termine la complicata parabola di un eroe della guerra mondiale obliato e censurato dai militari per più o meno giustificati motivi di segretezza, di un genio mai riconosciuto tale, specialmente in patria, dove solo nel 2013 la regina Elisabetta ne ha sancito la riabilitazione ufficiale esprimendo le scuse postume a nome di tutta la nazione. Tuttavia, le responsabilità maggiori vanno attribuite alla Difesa e al Governo britannici che se hanno dimostrato uno zelo smisurato nel tenere ben celata la sua attività, non hanno saputo – o voluto – rispettare la sua privacy e la sua sensibilità, il suo animo cortese e il suo personale approccio alla vita.
Alan Turing non era solo uno scienziato rigoroso e un imparegiabile sperimentatore, ma persino un maratoneta di ottimo livello agonistico, che quotidianamente percorreva di corsa circa 20 km per andare a lavorare all’Università di Manchester da casa sua, a Wilmslow. Di ciò, ma pure di altri episodi si occupa questo ritratto preciso e spettacolare che strizza l’occhio a “zio Oscar”, dal momento che già un altro intenso biopic (A beautiful mind di Ron Howard) dedicato al matematico John Forbes Nash Jr. (premio Nobel per l’economia nel 1994) ha ricevuto quattro statuette dorate nella “notte delle stelle” 2002, infrangendo il tabù che non riservava troppe chances alle biografie incentrate sui luminari della scienza.
Ma The Imitation Game possiede le carte giuste per affermarsi anche a Hollywood, e non solo per l’accurata confezione, oppure per l’eccellente interpretazione del protagonista ad opera di un sempre più affidabile Benedict Cumberbatch (Il quinto potere, Espiazione, Into Darkness – Star Trek, 12 anni schiavo, la serie tv Sherlock…), quanto per l’acuta descrizione del rapporto uomo-macchina che prelude alla nascita del computer, per il messaggio di eroismo manifestato nella soluzione del mistero di Enigma, e per lo scomodo sottotesto, un atto di denuncia vero e proprio contro la repressione forzata dell’omosessualità, protrattasi in Gran Bretagna fino al 1967.
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