Primo piano Jennifer Aniston_Cake

Dimmi una storia in cui tutto finisce bene per la strega cattiva

Ottimo mix tra commedia e tragico, una profonda, strutturata disamina del dolore, sul piano fisico e su quello emozionale. La difficoltà di risultare plausibili nel registro drammatico, quando tutto il mondo ti conosce come un’attrice brillante, è stata risolta da Jennifer Aniston in modo egregio e questa sua prova ricorda molto un Monster in La minore. In entrambi i casi, infatti, una donna bellissima recita attraverso una maschera sfigurata e sfigurante che la obbliga a dosare le energie in modo pericolosamente spiazzante, per se stessa e per lo spettatore, viziato dalle sue innumerevoli performance precedenti di segno opposto.

Cake è un film totalmente al femminile (gli uomini sono meri personaggi di sfondo o temporanei oggetti sessuali, ipotesi di una potenziale felicità futura, utopica nel presente) nonostante la sceneggiatura di ferro e la regia (Daniel Barnz) siano maschili e Jennifer Aniston, candidata al Golden Globe 2015 come Miglior Attrice Protagonista per questa sua prova, la migliore in vent’anni di carriera, ha lottato per questo ruolo appena si è innamorata della sceneggiatura di Patrick Tobin: “Sapevo che era dentro di me e mi sono trovata in un punto della carriera in cui se batti la faccia a terra, batti la faccia terra e va bene così. Volevo ricordare a me stessa che ero capace di fare più di ciò che il mondo immagina guardandomi recitare”.

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Claire (Aniston) ha perso un figlio in un disastroso incidente che le ha martoriato il corpo e del quale porta ancora pesanti, indelebili cicatrici, fisiche e mentali. Quando Nina (Anna Kendrick), uno dei membri del suo gruppo di supporto, si suicida gettandosi da un ponte, Claire reagisce (apparentemente) con una calma raggelante, muro di gesso che nasconde la sua sofferenza interna. Sarà il rapporto con le donne che la circondano a rivelarne le crepe sempre più marcate con il passare dei giorni.

Dopo la proiezione ufficiale al Festival di Toronto 2014, il cast ha ricevuto una standing ovation e le singole performance di Jennifer Aniston ed Adriana Barraza, bravissima nel ruolo della saggia ed iper-tollerante domestica tuttofare Silvana sono state fortemente apprezzate dalla critica e la Aniston, in una bella video-intervista con David Poland, ha riconosciuto la difficoltà di un ruolo così complesso, con il quale non si era mai dovuta confrontare in passato: “Non ho mai sperimentato il dolore cronico, la perdita che lei ha vissuto o il trauma che ha dovuto subire. Quindi ho dovuto studiare moltissimo, per essere sicura di non risultare falsa o mancare di rispetto alle persone cui è accaduto ed agli autori di una sceneggiatura così bella”.

E’, infatti, proprio questa dialettica narrativa tra la ricca signora bianca e l’umile ma orgogliosa donna ispanica (decisamente un cliché tra i più triti della cinematografia USA ma qui più che tollerabile, grazie alla perfetta alchimia tra le interpreti) che ci aiuterà a penetrare tra le pieghe del torturato e rabbioso animo della protagonista ed è un’autentica gioia non riuscire a scoprire il significato del titolo per ben 73’.

Farlo attraverso una splendida scena horror…è la ciliegina sulla torta.

Jennifer Aniston ai Golden Globe 2015

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