Youth di Paolo Sorrentino_international posterI film di Paolo Sorrentino, a partire da Il divo e con l’eccezione della trasferta americana con Sean Penn, hanno bisogno, nel loro essere visionari affreschi estetizzanti, sontuosi o asciutti, magniloquenti o metafisici, di un periodo di decantazione dopo la visione e poi, almeno a distanza di qualche mese, di una seconda visione. In questo interregno, in questa sospensione del giudizio, in quest’attesa di una Risposta non si dovrà cercare, sondare, valutare, esaminare ed analizzare il film con gli strumenti dell’Intelletto, della propria più o meno ampia cultura cinematografica, con il termometro delle emozioni e probabilmente neanche facendo risuonare eco nella caverna del subconscio.

I film di Sorrentino, questi ultimi in particolare, sono esecuzioni musicali e visive virtuose, sono anche espressioni algebriche, sintesi matematiche e talora, a prima vista, ci possono apparire anche solo come esercizio di stile se non addirittura come esibizione di potenza di calcolo da parte del regista. Invece, dopo la prima visione del film, un’agnizione, una lenta maturazione o un’improvvisa svolta, illuminazione, cresce ed esplode tra le sinapsi dello spettatore. Non è il cuore, non è la mente, non sono le viscere che spingono verso quest’apertura di senso, non è l’emozione, non è il ragionamento, non sono i sensi.

Piuttosto, l’improvvisa creazione di un disegno che unisce, in una sua logica folgorante e sfolgorante, tutti i neuroni come nella risoluzione di un rebus o nella riunione dei punti, nel vecchio gioco della Settimana Enigmistica. Emerge a quel punto il Senso di uno di questi recenti film del regista napoletano. Tutto si fa illuminato, ogni inquadratura, ogni parola della sceneggiatura, ogni personaggio, prende un proprio posto all’interno di un quadro che è astratto e concreto, simbolico ed oscuro al contempo.

[youtube]https://youtu.be/mHnQNyI2ino[/youtube]

Torneremo su Youth, sulla bellezza delle immagini, sulla maestria di Sorrentino nel saper sempre qual è il miglior punto per posizionare la telecamera, sull’emozione spesso di cui sono portatori i dialoghi, del piacere di vedere attori internazionali come Caine, Keitel, la Weisz o la Fonda, sulla scelta originale e profonda di affrontare temi come la vecchiaia, la morte e l’anelito oramai terminale nel godere ancora della Giovinezza. Dal vertiginoso sprofondo, dall’orrido della propria vecchiaia e Lontananza nel tempo e nella vita. Come i personaggi corrotti e ridotti a figurine bidimensionali de la grande bellezza, dal loro orrore anelavano ad una bellezza contingente e meschina che li rendeva ancora più repellenti e patetici sullo scenario assoluto e putrescente della “grande bellezza” romana.

Youth_locandina italiana

Questo film sceglie strade completamente diverse, la location è il film, un’unità di luogo concentrazionaria, a differenza della Roma dispersiva, labirintica, stordente, frammentaria del film precedente. Anche in me ancora deve maturare il frutto velenoso o zuccherino di Youth. Per ora, resta la sensazione che il film sia bello, forse bellissimo e che stagli i personaggi su un fondo oro, come in una icona medioevale, che ne esalti le figure e le parole ma che li rende inevitabilmente attori, pedine di un disegno superiore, parte di un Quadro dipinto da Dio, dal Regista, dal Senso delle Cose Umane. Torneremo su questo film di Sorrentino, dopo aver lasciato a noi ed a voi il tempo di sedimentare e maturare il proprio sentimento.

E poi ne riparleremo o torneremo a vederlo…

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