La-bella-gente_locandina franceseVecchia piccola borghesia
per piccina che tu sia
non so dire se fai più rabbia
pena, schifo o malinconia

Claudio Lolli, Borghesia

Alfredo e Susanna sono una coppia di cinquantenni dalla vita agiata e culturalmente stimolante. Architetto lui e psicologa lei, vivono a Roma ma trascorrono i fine settimana nella loro tenuta nella campagna umbra, dove amano passare le giornate facendo passeggiate nei boschi o rilassandosi a bordo piscina con una buona lettura. Un giorno, mentre si reca in paese, Susanna vede una ragazza che si prostituisce tra le sterpaglie e decide di salvarla dalla sua infelice condizione, nonostante l’enorme differenza che separa le loro esistenze.

Piccola curiosità d’apertura: nel 2008, durante le giornate della Mostra di Venezia, al microcosmo sui generis formato da accreditati e pubblico venne data l’opportunità di imbattersi in Pescuit sportiv, grottesco e lacerante ritratto della borghesia rumena diretto da Adrian Sitaru e racchiuso nella semplice storia dell’incontro casuale tra una prostituta e una coppia borghese intenzionata a passare in campagna il fine settimana. Non troppo dissimile appare, a un primo sguardo, la trama architettata da Valentina Ferlan nella sceneggiatura de La bella gente e portata sullo schermo dal trentottenne Ivano De Matteo, attore e documentarista già alla prese con il lungometraggio di finzione all’epoca di Ultimo stadio, anno domini 2002; anche qui abbiamo una coppia borghese (composta da Antonio Catania e Monica Guerritore) che, durante le vacanze nella loro casa di campagna, viene in contatto con una prostituta (Victoria Larchenko).

[youtube]https://youtu.be/UX-6gOwWuko[/youtube]

Per quanto le vicinanze tra le due opere si fermino pressoché qui, sarebbe con ogni probabilità dimostrazione di una non eccessiva lungimiranza non cogliere, nel file rouge che lega i due film – vale a dire il confronto “di classe” nelle relazioni interpersonali della contemporaneità – un sottile e persistente stato di insoddisfazione in grado di attraversare i confini abbattuti dell’Europa unificata e, giocoforza, di riflettere senza troppi panegirici sulla crisi della società borghese così come è sempre stata intesa. Ciò che in effetti salta palesemente agli occhi, durante la visione de La bella gente, è la fredda e spietata lettura di un universo a parte eppure perfettamente riconoscibile nel mondo che ci circonda: la “bella gente” sintetizzata nell’arguto titolo dell’opera è la stessa che incontriamo ogni giorno. Di più (e peggio): potremmo essere noi stessi.

La dissoluzione della borghesia, raccontata per tutta la sua interezza in location bucoliche e silenziose, ambiguo eremo che vorrebbe ergersi a luogo altro purificato dal lordume della società – “qui non può entrare nessuno, neanche la polizia” sentenzia non senza un pizzico d’orgoglio la femminista d’antan Susanna – ma che allo stesso tempo non si accorge di segregare al suo interno proprio lo sporco che vorrebbe “salvare”, si dimostra dolorosa quanto ancor più realistica. Anche per questo motivo, probabilmente, La bella gente riesce a sfuggire dalle trappole insidiose del film a tesi, aggirandole grazie al puntuale sbranamento dei personaggi operato dalla sceneggiatura e dalla verve del cast scelto per la bisogna: tutti straordinariamente in parte, da Antonio Catania a Iaia Forte, passando per un Elio Germano in forma smagliante – da antologia il furibondo litigio con la fidanzata Myriam Catania, per non parlare del siparietto con la Guerritore immediatamente seguente –, gli attori permettono di illuminare con ancor maggior precisione il lucido sezionamento cui ci sta conducendo De Matteo.

[youtube]https://youtu.be/1dXcsKTgzPo[/youtube]

La bella gente non è “solo” un requiem ispirato sulla crisi di valori che appesta l’Italia dei nostri giorni con un morbo ben più pericoloso di qualsivoglia influenza di origine animale ma è anche e soprattutto lo sguardo sulle faide che, volenti o nolenti, si vengono a creare all’interno della società contemporanea: conduce a declinare la riflessione sul film in queste modalità sia il confronto speculare tra le due coppie (Catania/Guerritore vs. Gobbi/Forte), sia quello – persino meno conciliabile – tra le diverse generazioni. Fino ad arrivare all’elemento principe di tutta la struttura edificata con cura da De Matteo, vale a dire la giovane prostituta ucraina Nadja: motore immoto dell’intera vicenda, la ragazza è l’unico personaggio presente in scena che riceve in dono una carica di umanità non mercificabile appena se ne presenta l’occasione.

In una casta – nel vero e proprio senso della parola – dove tradimento, senso di colpa, qualunquismo e impegno sembrano aver trovato il modo per andare senza problemi a braccetto, in un amplesso mostruoso destinato forse anche suo malgrado a generare un erede bicefalo (e in questo ci sembra particolarmente azzeccata l’ambiguità sprigionata dal personaggio di Elio Germano), Nadja appare come l’ultima àncora di salvezza per la coerenza intellettuale. Destinata, ça va sans dire, alla sconfitta, ma non per questo disposta ad accettare prona i diktat di un padrone che forse non le metterà le mani addosso e non la costringerà a svendere il proprio corpo, ma non per questo si dimostra più attento ai suoi reali bisogni né tanto meno intenzionato a restituirle fino in fondo la propria dignità. E che, bontà sua, si pasce nella propria supposta filantropia e torna a preoccuparsi dei calzini e delle camicie da comprare il prima possibile.

Un’opera così crudelmente divertente da apparire tragica, La bella gente è il fascinoso punto di arrivo di un cinema interessato a indagare il reale che non dimentica però la sua identità primigenia.

Thank you, Quinlan!

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