Franny_proposte@Due voti secchi e contrastanti per Franny dell’esordiente Andrew Renzi.
Film: 5
Interpretazione di Richard Gere: 7
Di indipendente, questa produzione ha soltanto il budget (secondo il canone USA, ovviamente). Si tratta, infatti, narrativamente, di un blockbuster a tutti gli effetti con due star hollywoodiane di prima grandezza nei panni del padre e della (quasi) figlia: il succitato Gere e l’ex bambina prodigio, oggi attrice e modella consolidata Dakota Fanning, sottoutilizzata in modo a tratti imbarazzante. L’anello debole è, infatti, la banalità della sceneggiatura, rivelata sin dagli inizi e priva di valide sottotrame sino a risultare bidimensionale. Il punto forte, l’unica reale ragione per recarsi in sala a vedere il film è una grande e matura prova di Richard Gere che ha (finalmente) eliminato i panni del belloccio tenebroso a tutti i costi per vestirsi, con la sopraggiunta maturità anagrafica, di tessuti ben più ruvidi e dolorosi, con risultati tutt’altro che deludenti.

Ciò che frustra non poco è l’effetto “Ferrari utilizzata per fare volantinaggio” che traspare dietro ogni piega del tessuto “drammaturgico” di Franny. Superato il senso di inutilità attorica del personaggio del giovane medico (il bello quanto scialbo Theo James che non sfigurerebbe nella trilogia di “Cinquanta sfumature di grigio”), resta un mistero la ragione per cui Renzi (regista e sceneggiatore) non abbia previsto un autentico scontro in campo aperto tra la Fanning e Gere, schiacciando costantemente la prima a vantaggio del secondo con il risultato evidente di ottenere 92′ perfettamente definiti dall’azzeccatissimo titolo italiano. Franny è, infatti, il vezzeggiativo di Frank, il personaggio di Gere che dista anni luce dal crudelissimo Underwood che abbiamo imparato ad amare-odiare nella favolosa quanto mefistofelica House of Cards.

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Resta davvero poco qui dell’autore di The Fort, il brillante cortometraggio girato da Renzi e presentato in selezione ufficiale al Sundance nel 2012 e del suo intenso quanto dolorosamente autobiografico Karaoke!, premiato come Miglior Cortometraggio al Sundance 2013.
In Franny si gioca troppo sul singolo personaggio, ed il risultato è un lavoro che ha ben poco del lungometraggio e molto del medio allungato a forza. E’ evidente che la misura del lungo penalizza le atmosfere predilette dal giovane autore, quelle in cui riesce a dare il meglio di sé. Dopo la ventesima espressione consumata dalla sofferenza e dall’astinenza sul volto di Gere…si desidera, infatti, assumere la medesima sostanza solo per riuscire a giungere indenni al prevedibilissimo epilogo. Impossibile non salvare, peraltro, la pregevole fotografia e le atmosfere dark che farebbero presagire ben altro ma che, purtroppo, rimangono imprigionate nella circolarità di una storia che (quasi) non c’è.

Non c’è dubbio che il giovane sappia girare. Non possiamo che auspicare, quindi, di vedere presto sullo schermo una sua opera seconda caratterizzata da maggior coraggio.

P.S: se il film possedesse metà dell’energia ed un quarto della lucida autoironia che Richard Gere ha dimostrato di possedere durante la conferenza stampa romana…questa recensione narrerebbe tutta un’altra storia.

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