Irrational Man_locandina italianaUn Kant d’amour (et mort)

Nel campus universitario di una piccola cittadina, un professore di filosofia cade in una profonda crisi esistenziale, ma scopre un nuovo scopo nella vita quando inizia una relazione con una delle sue studentesse. [sinossi]

Le sorprese, durante i festival di cinema, possono riguardare essenzialmente due categorie distinte: i film di registi sconosciuti, magari alla prima sortita dietro la macchina da presa, e i lampi di genio di autori che sembravano destinati a mettere in atto una parabola cadente. Se la prima categoria illumina gli occhi cinefili, vagheggiando futuri (e si spera duraturi) innamoramenti, la seconda li inumidisce di lacrime dense di malinconico affetto. È senza dubbio questo stato d’animo che ha accompagnato i titoli di coda di Irrational Man di Woody Allen, presentato al Grand Théâtre Lumière di Cannes, dove il film era stato accolto nel fuori concorso della sessantottesima edizione della kermesse francese.
La quarantasettesima regia di Allen (considerando in questo conteggio anche il film per la televisione Don’t Drink the Water, ancora ignoto ai più, e il geniale cortometraggio Edipo Relitto raccolto nel film a episodi New York Stories) mostra il volto più ispirato di un regista che nell’ultimo decennio e ancor di più si era accontentato, nella maggior parte dei casi, di giocare sul sicuro. Se si esclude l’ottimo Blue Jasmine il regista, sceneggiatore, attore e commediografo newyorchese aveva trascorso l’ultima parte della sua carriera a rimestare su timbriche, toni e materiali narrativi svolti con accuratezza fin dagli esordi.

Anche Irrational Man, all’inizio, sembra un’estensione, d’ambiente contemporaneo, degli umori di cui era intriso anche l’ultimo, grazioso, Magic in the Moonlight: un uomo preceduto dalla propria fama (in quel caso un illusionista, in questo un professore di filosofia) si ritrova in una comunità distante dal rutilante centro del mondo e trova una nuova ragione di vita nella conoscenza di una ragazza, in entrambi i casi interpretata da Emma Stone. Ma se Magic in the Moonlight si muoveva in direzione di una sarabanda jazzy, in cui l’intreccio sentimentale e quello “noir” danzavano giocosamente, il tono di Irrational Man si sviluppa in forma dicotomica fin dalla scelta di utilizzare due voci narranti, quella del professore di filosofia Abe Lucas (un Joaquin Phoenix perfettamente in parte come d’abitudine) e della studentessa Emma Stone (che irradia lo schermo di una bellezza anomala, quasi che i dubbi esistenziali del protagonista potessero affogare letteralmente nei suoi occhi).
Due narrazioni, solo a tratti confliggenti, che servono a permeare una riflessione sull’umanità che nasconde (solo velatamente) dietro il ghigno dell’ironia, o per meglio dire del sarcasmo, un pessimismo cosmico, in cui l’ineluttabile destino dell’uomo è quello di errare, causando dolore e creando orrore.

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I protagonisti di Irrational Man parlano di Kant e Kierkegaard, di morale ed esistenzialismo, di Heidegger e del nazismo, di Hannah Arendt e della banalità del male. Parlano in quei salotti borghesi e intellettuali che Allen ha saputo descrivere come pochi altri registi negli ultimi decenni. Ma non è più la velleitaria guerra di pavoni della cultura a interessare Allen.
Abe Lucas non ama brindare con un martini prima di recarsi a teatro, o al balletto. Rimane in casa, fiaschetta di whisky a portata di mano, a scarabocchiare sgorbi ritorti su un foglio. Non c’è speranza, perché non c’è più azione. La parola ha sostituito l’atto. L’impotenza – anche sessuale – è la deriva di un uomo che si annoia del suo stesso sapere.

Nel sommo dei paradossi è solo l’ipotesi dell’omicidio, la possibilità di togliere la vita a un uomo “malvagio” per riparare ai torti che ha generato col suo lavoro, a donare nuova gioia al professore incagliatosi nella cittadina di provincia del Rhode Island. La morale e la sua applicazione sono, per Woody Allen, l’ultima illusione di un pensiero progressista che non ha più appigli nella contemporaneità, e si agita in acque limacciose abitate da animali insoddisfatti – il personaggio interpretato da Parker Posey, in questo senso, assume un ruolo tutt’altro che secondario nell’economia “etica” del film – vittime di quella caducità che è propria di ogni essere umano.

Emma Stone_small

Rispolvera Fëdor Dostoevskij e Delitto e castigo, Irrational Man, ma è un omaggio così esibito da essere inevitabilmente smentito/capovolto nello sviluppo del film; semmai si avverte, nel furore belluino che irrompe in una costruzione mentale dominata dalla logica, il fremito che traspare dalle pagine di Edgar Allan Poe e (ancora) la tensione verso l’abisso che guida la mano di Howard Phillips Lovecraft – a sua volta cittadino del Rhode Island.

Un Allen così cupo nel tratteggiare le proprie storie non lo si rintracciava dai tempi di Match Point. Ma lì era l’azione, figlia della passione, a dominare l’uomo. Qui è la sua natura di essere senziente a condannare Abe Lucas, ben più razionale di quanto si possa supporre a partire dal titolo. Non c’è scampo, a parte gli occhi di Emma Stone. Che rimangono sempre aperti, per ora.

[Thank you, Quinlan!]

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