Il ministro_locandinaC’è un segno genetico oramai impresso nel cinema italiano che può essere ignorato, ritenuto superato, chiave di lettura troppo politica ed a tesi ma rappresenta anche una cifra stilistica, soprattutto nella scrittura, che alcuni autori, alcuni registi, hanno deciso di valorizzare, di farla propria, di elevarla a dispositivo programmatico per l’interpretazione del presente. Parliamo della cattiveria, dell’umore più acre e cinico che trasudava la migliore Commedia all’Italiana, il disegno di una società decaduta moralmente e putrescente che non lascia spazio alla redenzione, alla speranza. Una società popolata di mostri, poi di nuovi mostri ed infine, oggi, di “ministri” con le loro corti, i nuovissimi mostri. Potenti e sudditi in una dinamica dialettica, una comune cura, da due diversi punti di vista, dedicata al perpetuarsi del concetto quasi filosofico del potere.

Giorgio Amato, come già alcuni suoi colleghi da anni – primo fra tutti, Paolo Virzì – cerca di resuscitare un’arma micidiale ed efficace, quell’umorismo che profuma di zolfo, perfino macabro talvolta, che esalavano molte sequenze soprattutto dell’ultima fase, quella declinante, della Commedia all’Italiana, quando stava evolvendosi o involvendosi in Tragedia all’Italiana. Parliamo, ad esempio, di capolavori neri come C’eravamo tanto amati, Brutti sporchi e cattivi, La terrazza di Ettore Scola, Amici miei, Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, I nuovi mostri opera collettiva di Monicelli, Scola e Dino Risi.

Il ministro non è da meno di questi capolavori di crudeltà ed Amato, con la sua scrittura, con le orrende figure da lui delineate, con il descrivere un sistema a tenuta stagna popolato esclusivamente da complici e privo di eroe, dal quale l’unica fuga possibile è la morte, non lascia spazio a buonismi radical-chic o da messa in onda televisiva. Di tale coraggio va reso merito alla Europictures di Lucy De Crescenzo che lo distribuisce, come ha già fatto in precedenza con il controverso Pasolini di Abel Ferrara.

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Nel film di Amato, anche una figura sempre positiva, nel politicamente corretto della recente cinematografia, come quella del migrante, si rivela alla fine un nuovissimo mostro. Il ministro è chiuso claustrofobicamente in un’unità di luogo e di tempo che, oltre a renderlo, con pochi cambiamenti, già pronto per una messa in scena teatrale, soprattutto, rende la casa in cui si svolge la vicenda, una “Italia in miniatura”, luogo reale e simbolico, come i suoi sei protagonisti/mostri sono degli “Italiani in miniatura”. Personaggi reali nella drammaturgia della scrittura ma anche rappresentativi, simbolici dei vizi dell’intera popolazione italiana. Il rischio, come già nella Commedia all’Italiana, è di fare film a tesi, di cadere in un catastrofismo apocalittico da una parte ma anche nel qualunquismo dall’altra.

Ma, appunto, nei migliori esempi del passato come ne Il ministro, questo rischio si evita, andando – con un salto mortale di scala, con una pantografia antropologica e sociologica – a lanciare i propri strali sarcastici non solo contro la società del tempo ma anche contro, per esteso, le eterne dinamiche umane intorno al potere, sia esso politico, economico, sessuale, culturale. Non a caso, Amato ha dichiarato che avrebbe desiderato ambientare il film nel ‘600, mantenendo intatti tutti i rapporti e le relazioni tra i personaggi proprio per rendere ancora più universale il je accuse sotteso al suo pamphlet cinematografico.

Ottima prova per Gianmarco Tognazzi che sostanzialmente interpreta una figura triste, frustrata, stressata, vittima di questa lotta per il potere, probabilmente il bambino (interpretato a suo tempo dal fratello Ricky) divenuto adulto, protagonista dell’episodio L’educazione sentimentale, insieme al padre Ugo, ne I mostri del 1963. La sua recitazione compressa, implosa ed isterica al contempo, disegna un personaggio orrendo, mediocre, circondato da altri personaggi egualmente orrendi, apparentemente divisi tra vittime e carnefici ma tutti sostanzialmente vittime in questo film molto duro che riprende i precedenti di Dino Risi ma con un gioco al massacro che ricorda anche molto Carnage di Roman Polanski.

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