Kim Rossi Stuart torna dietro la macchina da presa a distanza di undici anni da Anche libero va bene per raccontare i dolori del (non più) giovane Tommaso, in una commedia divertente e amara. Fuori concorso a Venezia 2016.
Disperato erotico Kim
Dopo una lunga relazione, Tommaso riesce a farsi lasciare da Chiara, la sua compagna. Ora ad attenderlo pensa ci sia una sconfinata libertà e innumerevoli avventure. È un attore giovane, bello, gentile e romantico ma oscilla perennemente tra slanci e resistenze e presto si rende conto di essere libero solo di ripetere sempre lo stesso copione: insomma è una “bomba innescata” sulla strada delle donne che incontra. Le sue relazioni finiscono dolorosamente sempre nello stesso modo, tra inconfessabili pensieri e paure paralizzanti. Questa sua coazione a ripetere un giorno finalmente s’interrompe e intorno a sé si genera un vuoto assoluto. Tommaso ora è solo e non ha più scampo: deve affrontare quel momento del suo passato in cui tutto si è fermato…
Tommaso, opera seconda da regista di Kim Rossi Stuart, alla proiezione stampa della mattina nella sala Darsena del Lido, non è stato fischiato, né si è trasformato in un oggetto di scherno. Un’annotazione che potrà forse risultare superflua per chi non era presente alla Mostra di Venezia, ma che non è di secondaria importanza: non erano pochi gli addetti ai lavori che fin dall’inizio del festival, e forse anche prima, guardavano con scetticismo al ritorno dietro la macchina da presa dell’attore romano. Il progetto era considerato troppo personale, ai limiti dell’autobiografismo (come se questa rappresentasse una rarità nel panorama internazionale); dopotutto l’esordio da regista, con l’eccellente Anche libero va bene, era oramai vecchio di undici anni. L’assenza di quei fischi e quelle risate sguaiate cui ci si è oramai abituati a incontrare al Lido – quest’anno è toccato al fragile ma grazioso Piuma di Roan Johnson, andato incontro a un vero e proprio linciaggio, con tanto di un perentorio “vergogna!” urlato da un accreditato in sala – è un segnale incoraggiante.
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In realtà Tommaso non parte nel migliore dei modi, per via di una sequenza d’apertura in cui Rossi Stuart, anche ottimo protagonista, sembra rincorrere traiettorie morettiane, in una seduta psicanalitica in cui il personaggio si sfoga con Renato Scarpa, lasciandosi andare a un’esasperazione di gesti e reiterazioni verbali che riportano alla mente proprio il cinema di Nanni Moretti. Sensazione acuita, per di più, dalla presenza nella scena di Scarpa, che con il regista di Sogni d’oro ha lavorato sui set de La stanza del figlio, Habemus papam e Mia madre.
Ma è un’impressione solo passeggera: se Tommaso può essere accostato al cinema di Moretti è solo per via della scelta del regista di apparire anche davanti alla camera, e per i turbamenti psicologici del protagonista, incapace di trovare un senso alla propria esistenza e di affrontare con serietà e tranquillità un eventuale rapporto di coppia. È nella donna che Tommaso cerca di rintracciare un ruolo che non è evidentemente in grado di interpretare: forse anche per questo si smarca da tutte le sceneggiature che la sua agente gli sottopone – Tommaso, per sottolineare ancora di più il gioco di apparentamento, è infatti un attore cinematografico –, vagheggiando un improbabile esordio alla regia, e distrugge l’atmosfera dell’unico set che ha accettato, colto da un improvviso e ben presto mutevole entusiasmo.
Sì, Tommaso vorrebbe esordire alla regia, e vorrebbe farlo con un film fatto “tutto di sogni”: ma se sogna, nella realtà, è solo per immergersi in incubi angosciosi dai quali emerge il terrore dell’abbandono, la cesura degli affetti. Nella realtà non sa sognare, Tommaso, e al massimo può immaginare di avere rapporti sessuali con le donne che incontra per strada e attirano la sua attenzione (e non solo le donne, a giudicare da un manichino in bella mostra in una vetrina): ma anche il sesso gli è precluso, a parte le relazioni sentimentali che intraprende per poi gettarle al vento alla minima imperfezione ravvisata, e sovente inventata. Quando l’addetta a una palestra che lui segue con bramosia con lo sguardo lo approccia, infatti, Tommaso si rivela timido, impacciato, e si tira indietro.
Artista della fuga, il personaggio protagonista di questa commedia non priva di un’amarezza profonda, e indomabile, vorrebbe solo ricevere un po’ di calore, per poterlo donare a sua volta. Figura riflessa del mondo che lo circonda, eppure egocentrica fino alle estreme conseguenze, Tommaso non sa donarsi, non sa uscire da sé, non è mai in grado di scardinare schemi mentali che ripete con ossessiva precisione – come quando deve mostrare la propria casa di campagna alle ragazze che ha deciso di poter frequentare. Alla disperata ricerca di se stesso bimbo, eppure del tutto incapace una volta rintracciato, a entrare in contatto anche con lui, che nel sogno si getta in acqua lasciandolo sulla spiaggia, da solo. Tra padri/processionarie, madri spendaccione e anaffettive, immagini di donne nude, desiderabili e disponibili, Tommaso non teme di mettere in scena sequenze oniriche, senza però che queste assumano un peso preponderante all’interno di una narrazione ellittica e nevrotica almeno quanto il protagonista. Anche gli aspetti che con più facilità possono essere ricondotti alla esperienza umana di Rossi Stuart (e che erano già presenti in Anche libero va bene, a partire dal personaggio della madre, in quel caso interpretato da Barbora Bobulova) prendono corpo in scena con naturalezza, e il film inanella alcune sequenze comiche sorprendenti, come il tentativo di approccio con Sonia, la giovane reatina che ha incontrato per caso nel ristorante in cui lavora, o la lotta del protagonista contro il nido di processionarie.
Assai meno fragile di quanto possa apparire a prima vista, in grado di giocare con stilemi tra loro in evidente contrasto senza perdere mai la bussola del racconto, Tommaso è il racconto dell’incapacità di un quarantenne di adattarsi al mondo, di comprenderlo e di viverlo. Un oggetto da trattare con cura, e che con facilità può andare incontro a incomprensioni, ma che sa rivelarsi prezioso e conferma Kim Rossi Stuart come regista degno di interesse, e dotato di un proprio sguardo.
[Thank you, Quinlan!]
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