A margine della presentazione del suo “I, Daniel Blake”, Palma d’Oro all’ultimo Festival del Cinema di Cannes e in uscita da noi il 21 ottobre, il celebre cineasta Ken Loach ha incontrato i giornalisti in una affollatissima conferenza stampa all’Hotel Bernini di Roma. Tra stucchi e vetrate a dire il vero poco in linea con il clima del film, il cineasta di Nuneaton ha detto la sua senza peli sulla lingua, come si conviene ad un distinto signore di ottant’anni da poco compiuti.   Ken Loach

I am a citizen. Nothing more, nothing less”. È da qui che bisogna ripartire, sostiene Loach, da questa rivendicazione piana, eppure ferma, piena di dignità. La richiesta di vedere riconosciuti i propri diritti di cittadinanza sono al centro del nuovo progetto cinematografico del regista più di sinistra del Regno Unito, e forse d’Europa: “Il problema è che gli Stati non tutelano le persone, ma fanno gli interessi del grande capitale, che ha bisogno di rendere i lavoratori sempre più precari e quindi vulnerabili”. Ma come fanno gli apologeti del neoliberismo ad ottenere un risultato simile? Semplice, basta diffondere una narrazione conforme alle esigenze dei padroni del vapore: “Se sei povero è colpa tua, se sei disoccupato è perché non sai scrivere un curriculum o ti sei presentato anche solo con qualche minuto di ritardo a un colloquio di lavoro”.

Tuttavia, in Gran Bretagna – e non a caso, visto che il Paese è considerato da alcuni come quello con le più forti diseguaglianze sociali – si sono sviluppate grandi iniziative di solidarietà: sostegno agli homeless, ai disabili e agli anziani, campagne per l’accesso alla scuola e per non far chiudere gli ospedali… È un momento interessante questo, con una figura come Jeremy Corbyn ha preso la guida del Labour Party con il 60% dei voti ed ha fatto aumentare gli iscritti di tre volte rispetto al recente passato”.

Il film narra dell’odissea di un sessantenne espulso dal mercato del lavoro e costretto a sotterfugi amministrativi per cercare di non perdere gli esigui sussidi, rimasugli del Welfare State nato proprio da queste parti. È stato escogitato un meccanismo infernale per spingere sempre più ai margini della società i soggetti considerati improduttivi: “Nella sequenza girata presso un job center tutti gli attori non professionisti avevano un impiego proprio negli uffici di collocamento, che hanno poi lasciato per la crudeltà insopportabile che vi regna. Durante la lavorazione del film, ci hanno raccontato storie esattamente uguali a quelle vissute da Daniel Blake”.

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Quanto a lui, Ken Loach ammette di essere un po’ all’antica: “Soprattutto quando vengo in Italia – scherza – forse a causa del mio modo di vestire. Comunque, mi sento meno vecchio di un tempo: i nuovi movimenti di sinistra vedono un inedito protagonismo giovanile, con l’uso dei social network per comunicare il disagio e organizzare la protesta”.

In realtà, la grande sfida per la sinistra è quella della re-inclusione delle persone spinte ai margini della società prima con il Thatcherismo e poi con il suo (in)degno epigone, Tony Blair….

Fioccano le domande: c’è un erede all’orizzonte, Mr. Loach? Con serena modestia, Ken il rosso risponde che “non c’è carenza di talento. Certo, per la mia generazione è stato più facile: abbiamo iniziato a lavorare per la televisione in un’epoca nella quale la ruling class si sentiva sicura di sé e quindi lasciava che i giovani giocassero a fare i rivoluzionari. Ora la classe dominante, invece, è attraversata dalla insicurezza (peraltro da lei stessa innescata) e ha risposto restringendo le regole”.

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Come e cosa fare? “Non ho risposte su come cambiare l’economia globale. Del resto, è comprensibile: non riusciamo a mantenere la pace nel mondo, figuriamoci reintrodurre l’economia di piano – che pure sarebbe estremamente necessaria”.

Per fortuna, ci sono i premi e i riconoscimenti. La Palma d’Oro 2006 per Il vento che accarezza l’erba ha ricordato a tutti che l’Inghilterra ha dominato con feroce potenza imperiale su un paese come l’Irlanda. “L’establishment inglese era furioso – ricorda Loach – ma si trattava di un fatto incontrovertibile che è stato riconosciuto anche grazie al premio. Con ‘Io, Daniel Blake’ spero di raggiungere lo stesso risultato: certe realtà non possono restare ignorate”.

Il film denuncia la situazione drammatica di un uomo solo e malato a cui lo Stato fa di tutto per negare i diritti più elementari: un film intenso e straordinario come tutti i suoi interpreti, scritto da Loach assieme a Paul Laverty perché mossi “dalla indignazione e dalla rabbia” nei confronti di una situazione sociale insostenibile. Ciò nonostante, resta fondamentale per Loach “la gioia di fare cinema: la cosa più importante, quella che ci fa lavorare e non arrenderci”.

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