i-magnifici-sette_locandinaSeconda metà del 1800, vecchio West: Bartholomew Bogue (Peter Saarsgaard), un crudele e ricco magnate, intende mettere le mani su Rose Creek, un paesino nei pressi di una miniera d’oro. Dopo una spietata dimostrazione delle sue intenzioni, i cittadini inermi decidono di assoldare segretamente con i loro pochi risparmi un manipolo di disperati, una squadra di uomini in grado di difenderli dall’esercito di Bogue. Un uomo di legge desideroso di vendetta (Denzel Washington), un baro (Chris Pratt), un cecchino che ha perso coraggio (Ethan Hawke), un letale esperto di lame (Byung-hun Lee), un nativo americano (Martin Sensmeier), un bandito messicano ricercato (Manuel Garcia-Rulfo), un cacciatore di scalpi leggendario (Vincent d’Onofrio) si uniscono all’impresa, in cerca di uno scopo o forse della redenzione.

Ben lontano dall’epica di frontiera de I Magnifici Sette del 1960 ma comunque rispettoso delle proprie origini, questo remake preferisce evitare ogni confronto diretto col suo predecessore scegliendo di gettarsi con consapevolezza ed una certa abilità nel fracasso turbinante, sfruttando al massimo e senza inutile vergogna gli stereotipi per definire e delineare in pochi istanti i protagonisti.

Orgogliosamente, i personaggi sono sagome di cartone bidimensionali, dalle vaghe sfumature e dal cupo passato accennati solo rapidamente ed è tutto ciò che serve per gettarli nell’azione con le pistole spianate: Antoine Fuqua, regista di Training Day (i cui protagonisti erano proprio Denzel Washington ed Ethan Hawke), preferisce evitare ogni rischio e si pone su rotaie salde e collaudate.

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I magnifici sette è un film prevedibile sin dal primo minuto e non lo nasconde dietro improbabili rivelazioni: le scene sono telefonate con largo anticipo, i sicari del villain (a parte un paio di eccezioni) sono bersagli anonimi da abbattere con maestria, l’antagonista dal nero cappello è ovviamente raffinato, vile e crudele oltre ogni possibile redenzione. Il bene e il male non potrebbero essere più netti e persino i sette mercenari, che possiamo supporre non stinchi di santo, si limitano a reagire ad ogni offesa piuttosto che arrecarne.

Eppure a questi stereotipi con un volto ci si affeziona: a ogni morte eroica si sussulta, ci si domanda chi sarà il prossimo a dare via la propria vita per il bene altrui. E se il finale, dopo una battaglia impressionante, difetta in qualche modo di pathos possiamo ritenerci soddisfatti nel aver ricevuto ciò che ci è stato promesso.

Consigliato.

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