Dalle aquile della Mongolia alle foreste nordamericane, passando per il quartiere Tuscolano: le opere selezionate alla Festa del Cinema di Roma 2016 girano liberamente per il pianeta, senza apparente connessione tra loro.

Per inciso, il Pianeta Terra è oggetto di una certa attenzione nell’ambito della Festa, sia da parte delle star più attente al tema (uno degli eventi è Before the Flood, documentario sui cambiamenti climatici prodotto e “presenziato” da Leonardo DiCaprio), sia da parte di ONG come il Cesvi, presente con l’installazione “Food right now!”, con eventi, tavolini, volontari per sensibilizzare il pubblico sulla fame del mondo.

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Problemi, questi, di portata enorme oltre che costantemente sulla pubblica agenda da decenni, che trovano spazio in molte delle opere in programma. Senza andare lontano, anzi proprio a poche fermate di Metro A, il nostro Daniele Vicari firma Sole Cuore Amore, in cui una partecipe Isabella Ragonese dà vita ad una figura di giovane donna che la necessità di lavorare a tutti i costi trascina verso un destino drammatico.

Con un’opera che si discosta dalle precedenti, Vicari stavolta non centra del tutto il bersaglio, disegnando personaggi da un lato corrivi (largo uso del romanesco e di scene da bar), dall’altro poco credibili (la protagonista, Eli, si ammazza di lavoro ma saluta comunque sempre l’autista del bus che ogni notte la porta davanti casa a Nettuno). Lascia perplessi anche il contrappunto narrativo delle performance di danza realizzate da Vale, amica solidale di Eli. Tuttavia, quello di Vicari è un cinema necessario, che sta lì a ricordare a noi tutti in che razza di mondo viviamo.

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Un mondo che sembra aver imparato molto poco dalla tragica lezione della Storia, come quella raccontata in The Birth of a Nation (tradotto in modo libero ma, per una volta, convincente con Il risveglio di un popolo), del regista afroamericano Nate Parker: il quale, anche interprete principale del film, è Nathaniel, un giovane schiavo che, passato dai riti iniziatici yoruba allo studio della Bibbia e alla predicazione del Verbo ai fratelli, si sente predestinato a guidare i neri verso un riscatto impossibile. Film potente, esteticamente perfetto, che rovescia l’omonimia con l’opera di Griffith per denunciare la vergogna dello schiavismo, la cui interminabile striscia di sangue arriva fino ai giorni nostri nei ghetti neri delle città degli U.S.A.

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Un ipotetico contraltare, come solo i festival possono creare, è Captain Fantastic, per la regia di Matt Ross, con un eccellente Viggo Mortensen nei panni di un novello Thoreau animato da un sacro furore anticonvenzionale, al punto di concepire, insieme con la moglie, un’esistenza al di fuori di ogni formalismo borghese per sé e per i suoi sei figli.

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Formidabile l’incipit, che spinge lo spettatore più sensibile ad immedesimarsi in chi ha avuto il coraggio di rifiutare l’inganno della società dei consumi, sposando un modo di vivere volto alla riscoperta del proprio Io più profondo. Certo, il film può essere tacciato di facile retorica anticapitalista, di ripresa di opere analoghe (in primis, Walden, or, Life in the woods), di echi da un movimento hippy ormai fuori tempo massimo…A noi, però, piace il cinema che racconta storie in grado di suscitare emozioni e, perché no, anche di spingere a ribellarci – sia pure solo moralmente – ad un sistema che prospera sulla pelle di milioni di esseri umani.

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