Con l’assegnazione del Premio BNL del Pubblico a Captain Fantastic, di cui abbiamo parlato qui, si è conclusa l’undicesima edizione della Festa del cinema di Roma. La scelta di aver individuato negli spettatori “L’unico giudice per il miglior film” (così l’ha definito Francesca Via, direttore generale della Fondazione Cinema per Roma) non sembra aver penalizzato la kermesse capitolina che ha rinunziato al corredo di premi e giurie tipico dei principali festival internazionali a favore di una concezione, ampliata tematicamente e diffusa territorialmente, di altri eventi collaterali.

Ed infatti, non abbiamo avuto soltanto l’Auditorium Parco della Musica di Renzo Piano – che è rimasto comunque il cuore pulsante della Festa – ma tante altre location, una su tutte: l’auditorium del carcere di Rebibbia “R. Cinotti”. Qui si è svolto l’evento Rebibbia streaming. Dalla città dolente, che ha visto gli ormai famosi attori detenuti che ci hanno fatto vincere l’Orso d’Oro a Berlino 2012 con Cesare deve morire dei fratelli Taviani cimentarsi con l’Inferno di Dante, per la regia di Fabio Cavalli, alla presenza di un folto pubblico e di personalità istituzionali, in primis la sindaca Raggi.

In collegamento con il museo MAXXI grazie a sei telecamere e ad una regia in diretta, lo spettacolo è stato presentato da Massimo Ghini, che ha sottolineato l’importanza di intrecciare rappresentazione teatrale e solidarietà, per far arrivare anche al pubblico della Festa del Cinema ciò che si muove in uno dei non-luoghi per antonomasia, il carcere, dove al contrario è possibile – ed anzi doveroso – fare cultura a dispetto di condizioni difficili.

Quanto invece ai premi assegnati nell’ambito di Alice nella Città, la selezione Young/Adult ha favorito Kicks, di cui abbiamo parlato qui, mentre il Premio Camera d’Oro Taodue alla migliore opera prima e seconda è andato a Little Wing della finlandese Selma Vilhunen, che ha saputo raccontare mirabilmente “La storia di un viaggio nelle emozioni ed un’esperienza educativa, dove i ruoli dei genitori e quelli dei figli talvolta sono rovesciati”.

Davvero intensa e caratterizzata da una forte tensione sperimentale questa rassegna, come dimostra un’opera eccentrica come Swiss Army Man, un duetto impossibile sulla carta tra Paul Kano (visto, tra l’altro, in Youth – La giovinezza di Paolo Sorrentino) ed il Daniel Radcliffe di Harry Potter, stavolta in un ruolo davvero surreale, ai limiti della provocazione artistica.

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Ma in generale la Festa ha messo in scena una sequenza di ottimi film, tra i quali ci piace segnalarne tre, a cominciare da Immortality, del cineasta Mehdi Fard Ghaderi, una lunga dissertazione su temi eterni come l’amore, l’inganno, il desiderio, filtrati con la speciale sensibilità culturale di un paese come l’Iran. Sei quadri, sei famiglie, intersecano le loro vite in altrettanti scompartimenti di un treno in viaggio nella notte, lasciando il dubbio se si tratti di esistenze diverse o se, al contrario, esse non compongano un unico, grande affresco umano.

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Lion, dell’australiano Garth Davis, attinge invece a una storia vera, iniziata oltre vent’anni prima in una stazione ferroviaria dell’immenso subcontinente indiano, dove Saroo, un bellissimo bambino di appena cinque anni, viene strappato alla sua famiglia da trafficanti senza scrupoli, che approfittano della condizione di estrema povertà che lo aveva spinto a seguire il fratello in cerca di lavoro. Adottato da una coppia benestante e colta (Nicole Kidman e David Wenham), diventa un giovane intraprendente (l’indiano Dev Patel) che si mette coraggiosamente alla ricerca delle proprie radici.

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Infine, come non citare il raffinato bianco e nero di Fritz Lang, del tedesco Gordian Maugg, che rivisita le asperità e la genialità di uno dei padri costituenti della settima arte, ricorrendo ora a splendidi filmati d’epoca ora all’immaginata immedesimazione del grande regista con l’autore di delitti efferati, quel Mostro di Düsseldorf portato sullo schermo da Peter Lorre che scuote le nostre fragili certezze sul mondo crudele in cui ci troviamo a vivere.

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