C’è un mondo dietro i celeberrimi mattoncini, dietro le icone della DC. Un mondo che con Lego Batman prende però una piega troppo prevedibile, priva delle intuizioni e della verve di Lego Movie. Christopher Miller e Phil Lord restano dietro le quinte e il timone passa a Chris McKay: un lussoso cast di doppiatori (in originale), citazioni a pioggia, una confezione impeccabile, ma anche una storiella edificante che si dimentica in fretta, che si sgretola nella seconda parte.
Non è meravigliosooooo…
L’uomo pipistrello è un solitario. Un eroe che vigila dall’alto, che non ha bisogno di amici o compagni d’avventura, che passa il tempo nella ultra-moderna, abnorme e rimbombante Batcaverna. Ma a Gotham City sta succedendo qualcosa: i super-cattivi, in primis Joker, stanno tramando nel buio e le forze dell’ordine vorrebbero cambiare un po’ le cose. Questa volta, forse, Batman avrà bisogno d’aiuto…
La mente corre inevitabilmente a Lego Movie, ennesima dimostrazione della verve del duo Christopher Miller & Phil Lord (Piovono polpette, 21 Jump Street e 22 Jump Street). Un sorprendente gioiellino. In realtà, Lego Batman arriva da lontano, non è solo lo spin-off di Lego Movie. C’è un mondo dietro quei mattoncini, dietro le icone della DC. Lo straight-to-video Lego Batman: Il film del 2013, ad esempio, o tutto il macrocosmo dei videogiochi. Ma non è questo il punto.
Piuttosto, il punto è Piovono polpette 2 – La rivincita degli avanzi di Cody Cameron e Kris Pearn, una delle tante vittime da sequel. Carino, anche divertente. Ma spremuto come un limone, esaurito, fatto ad arte per (ri)scalare il box office. Ecco, complici Miller & Lord, prima autori degli originali e poi produttori (esecutivi) dei sequel, Lego Batman è intrattenimento spolpato. Mai un vero guizzo, un detour imprevedibile, uno scarto che lasci a bocca aperta. Mai libero e pazzerello come Lego Movie, ma ligio a una frenesia visiva pianificata che fagocita la narrazione; che copre le falle della narrazione. L’anarchia di Lego Movie è in realtà pura geometria.
Un lussoso cast di doppiatori (in originale), citazioni a pioggia, una confezione impeccabile, ma anche una storiella edificante che si dimentica in fretta, che si sgretola nella seconda parte. Il carattere cupo e solitario dell’uomo pipistrello viene costantemente rovesciato, preso in giro, preso in prestito per una parabola sull’amicizia, sulla solita questione degli uomini che non sono isole. Bene, nonostante la deriva narrativa finale. E vanno più che bene le animazioni, la computer grafica in stile stop motion. Il livello grafico di Lego Batman conferma i progressi della computer grafica, oramai estesi a case di produzione di un po’ tutto il mondo. Ma Lego Batman conferma anche, ahinoi, le solite dinamiche produttive, la corsa al titolo sicuro, al sequel.
Nella vorace foga citazionista, in un cortocircuito di post-post-post-moderno, tutto finisce nel calderone. Il povero King Kong, ad esempio, finisce tra i cattivi. Semplificazione o banalizzazione, a scelta. Ma anche questo, seppur fugace, è uno dei punti chiave. Proprio King Kong. Oppure Lord Voldemort, che si limita a fare il solletico con qualche Wingardium Leviosa, incantesimo più adatto a Hermione che a uno spietato uomo nero – “e chi pensa ai bambini?”, dirà qualcuno.
Già, i bambini.
Tutto da tenere? Tutto da buttare? No, solo che Lego Batman lascia un retrogusto amaro, nonostante il ritmo, le canzoni, le risate. Nell’orgia cromatica, nell’accumulo di supereroi e supercattivi, tra baci e abbracci, si finisce per intravedere una nuovola nera all’orizzonte: altri sequel, un’altra spermuta di immaginario, l’ennesimo trionfo dell’animazione commerciale statunitense sull’animazione indipendente, magari europea, probabilmente francese, spesso nipponica. C’è un mondo altro dietro il mantello dell’uomo pipistello.
[Thank you, Quinlan!]
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