LA “PICCOLA ASCIA” DI STEVE MCQUEEN PER ABBATTERE IL GRANDE ALBERO DEL RAZZISMO

Il nome di Steve Rodney McQueen, regista e videoartista afrobritannico, oltre a coincidere con quello del celebre attore cantato da Vasco Rossi, contiene le stimmate dell’ultrasecolare oppressione dei neri da parte di colonialisti vecchi e nuovi: si chiamava infatti Rodney King una delle tante vittime della brutalità poliziesca a stelle e strisce, che scatenò i Los Angeles Riots, forse la più vasta rivolta in epoca recente contro il razzismo delle istituzioni USA. L’episodio fu cantato dal rocker african-american Ben Harper, a dimostrazione di come la musica sia uno straordinario veicolo di diffusione della protesta: ne attinge a piene mani McQueen per sostanziare la sua potente trilogia (non chiamatela “serie”, è riduttivo): il titolo, Small Axe, richiama un proverbio giamaicano alla base dell’omonimo brano di Bob Marley, profeta della musica reggae.

I tre film presentati alla Festa del Cinema di Roma sono stati realizzati con il supporto produttivo della BBC, gloriosa azienda culturale inglese, istituzionale come Buckingham Palace ma aperta come i mari solcati dalle navi di Sua Maestà. Tre film, di lunghezza e spessore variabile, per raccontare vita, speranze, rabbia e amori della comunità di origine caraibica di Londra – con un tratto autobiografico, visto che da lì vengono i genitori di McQueen. L’opera centrale è senza dubbio The Mangrove Nine, i nove del Mangrove, ristorante di cucina speziata che divenne il fulcro del quartiere-ghetto londinese di Notting Hill.

Sembra quasi di sentirlo, l’afrore del curry sprigionato da ogni pietanza sfornata dalla auntie, la zietta del protagonista Frank Crichlow, proprietario del Mangrove (“Black ownership”, come recita orgogliosamente un cartello in vetrina).

Siamo però negli anni Settanta, e la polizia di Londra è un apparato repressivo che cela il suo volto feroce dietro l’immagine bonaria del Bobby, il poliziotto di quartiere dal tipico copricapo.

Ed ecco che esplode il più bieco e retrogrado razzismo di agenti di polizia carichi di livore verso quei neri che osano vestirsi di musica e colori sgargianti, in contrasto con lo squallido grigiore di una società ancora tardo Vittoriana che si sente minacciata da un popolo giovane, vitale, pieno di energia. Infatti, finché i giovani che affluiscono dalle colonie britanniche nelle Indie Occidentali si limitano a parlare in pidgin English anziché nel tipico cockney e a suonare nelle steel band, dando vita al celeberrimo Carnevale di Notting Hill, poco male.

Ciò che l’establishment non può sopportare è veder prosperare un esercizio come quello di Crichlow, amante dei piaceri della vita ma anche un bravo imprenditore – nero.

I ripetuti, sempre più violenti raid della squadraccia guidata dall’odioso agente Pulley mirano a far fallire il Mangrove, piegando così la resistenza di un’intera comunità che ne ha fatto il suo luogo dell’anima.

Ma avranno la meglio la solidarietà tra i “fratelli”, la loro determinazione nel reagire agli abusi, l’unità d’intenti nell’affrontare il processo nell’austero Old Bailey, il tribunale penale tempio del conservatorismo britannico, sfidato da un manipolo di attivisti ispirati dalla figura di CLR James, intellettuale originario di Trinidad e Tobago, nelle Antille.

La vicenda, magnificamente descritta grazie a quella straordinaria macchina del tempo che è il cinema, è realmente accaduta, e si è conclusa – per una volta – con la vittoria della giustizia.

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