Luci ed ombre di una catastrofe annunciata

La voce narrante di Liam Neeson ci accompagna in un viaggio attraverso il tempo, alla riscoperta della più grande crisi alimentare europea che ha letteralmente dimezzato la popolazione dell’Irlanda; la grande carestia di metà ottocento. Iniziata nel 1845 e prontamente arginata, nei limiti del possibile, da Francia, Prussia, Belgio, che hanno subito la perdita, in totale, di ‘solo’ 100000 persone, si è protratta nella verde Irlanda per 7 anni, causando la morte di un milione di persone e l’emigrazione di altri due.

The Hunger: The Story of the Irish Famine, documentario basato sul libro Atlas of the Great Irish Famine della Cork University Press e diretto da Ruan Magan, presentato nell’ambito dell’Irish Film Festa Silver Stream (online dal 17 al 21 marzo), mostra al mondo non solo la tragedia di un popolo ma anche la totale indifferenza della perfida Albione di fronte al destino irlandese. La protestante Gran Bretagna, incontrastata padrona del mondo a quel tempo, guardava infatti con sufficienza a quella che sulla carta era una propria regione, alla stregua di Galles e Scozia, ma che veniva trattata invece come una lontana colonia ed ai suoi abitanti, i cattolici irlandesi, giudicati pigri e indolenti, ‘bambini da educare’ all’etica del lavoro.

A metà del XIX secolo, la peronospora della patata, fungo proveniente dalle Americhe, distrusse parte rilevante delle colture di tutta Europa; ma solo in Irlanda ebbe conseguenze catastrofiche, per due motivi principali: la monocoltura delle classi più povere, che si trovarono prive del loro unico mezzo di sostentamento, e, appunto, la politica inglese.

A differenza degli altri paesi europei, infatti, l’Irlanda basava il sostentamento della totalità della popolazione meno abbiente proprio sulla nutriente patata: facile da coltivare, prosperava su ogni tipo di terreno, fornendo cibo accessibile ai poveri contadini e fittavoli, permettendo altresì un boom demografico negli anni precedenti la carestia. L’infestazione della peronospora, colpendo solo la patata, condannò alla fame tutta questa parte della popolazione. Pur tuttavia, quel che non poté il fungo marcescente, poté invece la (volutamente?) pessima gestione dell’emergenza da parte del governo inglese.

Poiché la sola pianta colpita era la patata, in piena carestia, l’Irlanda fu costretta ad esportare altri generi alimentari in Gran Bretagna; non potendo agire sul protezionismo a favore dell’isola, stante l’imperante liberismo economico, il primo ministro Sir Robert Peel decise allora l’abrogazione delle Corn Law (le leggi per i dazi sull’importazione di cereali dall’estero) che permise la distribuzione, attraverso mense, di una sostanziosa zuppa che consentì inizialmente alla popolazione di sopravvivere; ma l’iniziativa, fortemente criticata, gli costò le dimissioni da Primo Ministro già nel 1846.

Da quel momento, nonostante in tutto il mondo la stampa riportasse, nei nuovissimi giornali illustrati, la drammatica situazione dei poveri irlandesi, la politica di Londra, guidata dal Whig Lord John Russell, tenace sostenitore del liberismo economico, con il sostegno del Ministro del Tesoro Charles Trevelyan, portò la crisi alle estreme conseguenze. Dall’istituzione di lavori pubblici stremanti sottopagati per permettere alla popolazione di comprarsi il cibo alle alienanti condizioni dei ricoveri in cui venivano ammassati i più poveri, fino alla tassazione che spinse i proprietari terrieri a sfrattare i propri fittavoli, che rimanevano così affamati e senza un posto dove andare, il governo della mai così perfida Albione raggiunse quello che era il suo vero scopo: eliminare una classe inutile economicamente per consentire ai proprietari terrieri di convertire la produzione verso modalità più redditizie.

Il razzismo verso la popolazione irlandese, cattolica, pigra ed indolente, unita all’affermarsi delle teorie economiche illuministiche di Adam Smith, portò da un lato la rivoluzione industriale in Inghilterra, dall’altro il deliberato genocidio della classe sociale ‘inutile’ dei braccianti e fittavoli irlandesi; profughi del loro tempo, in due milioni emigrarono verso una nuova vita: la maggior parte negli Stati Uniti d’America e in Canada a bordo di ‘navi bara’, altri nel resto del mondo. Il ‘Regno Unito’ raggiunse il suo scopo; ma l’autogol inglese era alle porte: le generazioni successive, i figli delle vittime grande carestia, iniziarono infatti la lotta per l’indipendenza irlandese, finanziati da quegli irlandesi emigrati per non morire di fame. Una lotta senza esclusione di colpi, che portò ai sanguinari anni dei Troubles, e che affonda le sue radici nell’odio di una Nazione decimata numericamente e quasi obliterata culturalmente dalla ‘sorellastra maggiore’, tramutatasi negli anni difficili della Grande Carestia, in matrigna perfida.

The Hunger: the Story of the Irish Famine, è un documentario avvincente e crudo, che tra foto e illustrazioni dell’epoca e immagini moderne, unite alla voce narrante del grande attore Liam Neeson ed agli interventi di studiosi e ricercatori, mostra luci ed ombre di uno degli episodi più catastrofici della storia irlandese; una catastrofe annunciata in un mondo in trasformazione, che una politica volutamente ostile ha trasformato in tragedia.

[Fonte: Cineclandestino]

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